Museo “Franco Azzinari”

Dalla Calabria a Parigi e in Normandia e ritorno. Questo l’iter seguito dall’artista Franco Azzinari, originario di San Demetrio Corone, nel cosentino, che all’età di 14 anni lascia la Calabria per allargare i suoi orizzonti e lasciarsi ammaliare dallo stile di Maestri come Van Gogh, Gauguin e Monet. Nel 1978, dopo tanto peregrinare, ritorna nella sua terra e trova nella macchia mediterranea la nuova fonte di ispirazione. Poi, l’incontro con il sindaco del piccolo borgo di Altomonte e l’idea di creare una mostra permanente con una quarantina di opere realizzate nell’arco di circa trent’anni. Ed ecco così nel 2002 la nascita del Museo “Franco Azzinari” allestito negli ambienti della Torre Pallotta, struttura difensiva di origine normanna nel cuore del borgo di Altomonte, con una raccolta dal titolo “Vent’anni con la natura”.

Museo Civico Santa Maria della Consolazione

La grande ricchezza di opere d’arte giunta fino a noi ha avuto nei secoli due motori principali, soprattutto in un contesto storico come quello che ha caratterizzato la Calabria: le famiglie nobili e di feudatari e gli ordini religiosi. Se ne ha chiara testimonianza nel Museo Civico di Altomonte, il cui percorso espositivo si divide in due sezioni: medievale e domenicano. La prima conserva la ricca collezione di opere raccolte a partire dal Trecento dalla casata Sangineto, fra le contendenti al feudo di questo piccolo ma importante borgo del cosentino. Collezione sviluppatasi per lo più attorno alla Chiesa di Santa Maria della Consolazione e che comprende fra le altre il San Ladislao, tempera su tavola dipinta nel 1326 da Simone Martini, due tavole di Bernardo Daddi, con quattro figure di santi datate al 1328, e due lastre di alabastro della prima metà del XIV secolo importate dalla Francia e commissionate da Filippo Sangineto.

Altrettanto preziosa la sezione domenicana, dove accanto a oli su tela e sculture lignee ampio spazio è dato a paramenti sacri, reliquiari e argenterie liturgiche. Bellissimo il mobile da farmacia del ‘500 e i codici miniati rinvenuti nella sacrestia della Chiesa di Santa Maria della Consolazione e custoditi un tempo nella Biblioteca, scrigno prezioso di testi di teologia, diritto canonico e storia della Chiesa, soprattutto del periodo della Controriforma.

Museo Civico di Paleontologia e Scienze Naturali dell’Aspromonte

Con 15.000 esemplari di fossili di fauna e flora locali datate fra i 100.000 e i 120.000 anni fa, il Museo Civico di Paleontologia e Scienze Naturali dell’Aspromonte di Bova, a circa 70 km da Reggio di Calabria, è uno dei più importanti nel suo genere di tutto il Sud Italia. Una serie di carte geografiche del Parco Nazionale dell’Aspromonte accolgono all’ingresso i visitatori, che possono così familiarizzare da subito con la particolare realtà naturalistica della zona. Per una migliore comprensione di quanto raccontato da tali reperti, la collezione è di recente stata arricchita di pezzi provenienti da diverse parti del mondo, creando un iter evolutivo attraverso le varie ere geologiche.

Il Museo, creato nel 2012, organizza anche numerose attività divulgative pensate soprattutto per i ragazzi, come per esempio “Un giorno da paleontologo”, laboratorio didattico che integra il percorso museale con momenti pratici quali il ritrovamento di fossili e la loro ripulitura.

Museo Agro-Pastorale dell’Area Ellenofona

La tutela della biodiversità e del paesaggio. Questo l’obiettivo primario della AIAB, vale a dire l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica della Calabria, che partendo proprio dal metodo della coltivazione bio punta e un modello di sviluppo sostenibile e polifunzionale.

Per comprendere meglio la direzione intrapresa e i target da perseguire, lo studio delle tradizioni del passato è un passaggio fondamentale. Partendo da tale presupposto, alla AIAB fa capo anche la gestione del Museo Agro-Pastorale dell’Area Ellenofona di Bova Marina, ospitato dal 1999 presso il piano terra dell’Istituto Ellenofono. Qui, circa 200 oggetti e una ricca collezione di suggestive fotografie d’epoca illustrano la cultura materiale locale, toccando le principali fasi dei cicli produttivi di agricoltura e pastorizia e delle varie lavorazioni artigiane dell’area Grecanica, come per esempio la produzione di tessuti realizzati con fibre di ginestra.

Area Archeologica di Tharros

A Cabras, nell’oristanese, ci si va per praticare escursionismo naturalistico nel grande stagno dove stanzia una colonia di fenicotteri rosa, ma anche per ammirare uno dei rari siti archeologici affacciati sullo splendido mare della Sardegna. Fondata sulla penisola del Sinis nell’VIII secolo a.C. e abbandonata nell’XI d.C., Tharros è stata nei secoli insediamento nuragico, emporio fenicio, fortezza cartaginese, urbs romana, capoluogo bizantino e capitale arborense. Oggi è un’Area Archeologica di grande fascino, delimitata da un lato dall’istmo di Capo San Marco e dall’altra dai colli della borgata di San Giovanni di Sinis e di su Murru Mannu. Proprio sulla sommità del colle si trovano i resti più antichi, quelli del villaggio nuragico abbandonato già prima dell’arrivo dei fenici. Tracce di nuraghi sono state rinvenute anche sul promontorio di San Marco e nei pressi della Torre di San Giovanni, mentre risalgono all’età punica due necropoli e un tophet, santuario cimiteriale con resti di neonati e animali sacrificati. Se qui i corpi erano incinerati, con l’arrivo dei Cartaginesi si iniziò a praticare l’inumazione, come attestato da alcune sepolture a fossa e tombe ‘”a camera” segnalate da steli con immagini delle divinità Baal Hammon e Tanit. E proprio dalle necropoli derivano la maggior parte dei reperti, quali manufatti dei corredi funebri composti da ceramiche, gioielli, amuleti, scarabei.

Sulla collina di San Giovanni era collocato il quartiere di Tharros cosiddetto di Montiferru, dove si concentravano le botteghe di fabbri e da cui partivano le mura difensive della città fortificata. La città, prima di cadere sotto il dominio romano nel 238 a.C., mostrava numerosi edifici civili e sacri, e fra quest’ultimi c’è il “tempio delle semicolonne doriche”, in parte smantellato in età imperiale per lasciare spazio a un nuovo santuario. Del tempietto K, costituito da portico e altare con cornice a gola egizia, si notino i due blocchi con incise lettere semitiche provenienti da un precedente edificio punico, e di ciò che era un suggestivo tempio tetrastilo affacciato sul mare le uniche due colonne rimaste in piedi, frutto di un passato tentativo di ricostruzione. Il cattivo stato di conservazione di tutti questi monumenti si deve in particolare a un fattore: a un certo punto, divennero la “cava” cui attingere gli elementi e i materiali architettonici per la costruzione della Chiesa di Santa Giusta.

In età imperiale, l’urbs assunse la classica configurazione ortogonale dovuta alla centuriatio, con un articolato sistema fognario e con strade a perpendicolo lastricate e imperniate su cardo e decumano. Nel III d.C., Tharros si arricchì di un acquedotto, il castellum aquae, e di tre impianti termali a ridosso del mare, che nell’alto Medioevo furono utilizzati come sepolture bizantine. Anche le aree funerarie furono modificate secondo l’uso dell’Antica Roma: tombe “alla cappuccina”, inumazione in anfore, mausolei, sarcofagi e così via. I ricchi corredi funebri, così come quanto era rimasto a lungo a decoro dei monumenti, fu depredato prima dai saraceni e poi, dal XVII secolo, dai cercatori di tesori. Per fortuna, parte di questo ingente “bottino” è finito al British Museum di Londra, parte nei musei archeologici di Cabras e Cagliari e nell’Antiquarium arborense di Oristano. Dall’800 in poi sono stati realizzati scavi scientifici, tuttora in corso, che non hanno mai smesso di aprire nuove finestre sul passato lungo e ricco di questa città dalla mille vite e volti.

Parco Archeologico Naturalistico di Santa Cristina

Al km 115 della S.S.131 dell’oristanese, all’altezza di Paulilatino, si fa tappa al Parco Archeologico – Naturalistico di Santa Cristina, 14 ettari di olivi secolari e macchia mediterranea dove si scorgono il pozzo sacro di Santa Cristina, considerato uno dei più importanti monumenti del patrimonio archeologico religioso della Sardegna nuragica, un interessante villaggio nuragico con nuraghe monotorre datato al XVI sec. a.C. e un villaggio di epoca cristiana. La tecnica edilizia del tempio a pozzo risale al XII sec. a.C., e come tale è uno dei più straordinari esempi di opera architettonica di quel periodo, composto da un vestibolo (dromos), un vano scala e una camera ipogeica a “tholos”. Il tutto circoscritto da una cinta muraria perimetrale (themenos), lambita dai resti del villaggio, in cui si emergere la “capanna delle riunioni”, con un sedile in pietra dall’andamento circolare.

Di forma circolare è anche il nuraghe Santa Cristina, alto circa 6 metri e con un breve corridoio che introduce nella camera principale, anch’essa tonda, coperta da una falsa cupola (tholos) perfettamente conservata. Attorno al nuraghe si sviluppa un vasto villaggio, frutto di una serie di sovrapposizioni di epoche diverse: due le capanne principale, una lunga 14 metri, integra, l’altra priva della copertura. La visita del Parco Archeologico – Naturalistico di Paulilatino comprende il santuario cristiano che ospita la piccola chiesa campestre di Santa Cristina, voluta dai Camaldolesi in epoca medioevale, che trova nella seconda domenica di maggio e nella quarta domenica di ottobre i suoi due momenti clou: il primo vede svolgersi le celebrazioni per la festa in onore di Santa Cristina, il secondo quella in onore dell’Arcangelo Raffaele.

Santuario di Sos Nurattolos e Nuraghe Boddò

Punta Senalonga, in provincia di Sassari, è una meta dove si concentrano numerosi luoghi di interesse storico-archeologico. In primis, il santuario di Sos Nurattolos, il sito più importante del territorio di Alà dei Sardi: databile tra 1600 e 900 a.C., è un complesso sacro dedicato al culto delle acque che si articola in tempio a megaron circolare ben conservato, e in una grande capanna, anch’essa circolare e dotata di stanza d’ingresso e di una camera. A poca distanza, con una piacevole passeggiata nella macchia mediterranea, si trovano poi il nuraghe Boddò e il villaggio nuragico di su Pedrighinosu.

Nuraghe Albucciu

Lungo la SP 125 che partendo da Olbia risale verso Nord in direzione di Santa Teresa Gallura ci si può concedere una breve sosta nei pressi di Arzachena. Precisamente, a 2,5 km dall’abitato, si seguono le indicazioni per il Nuraghe Albucciu, immerso in un boschetto di olivastri e macchia mediterranea. Si tratta del classico protonuraghe a corridoio, con coperture tronco-ogivali a tholos, tecnica costruttiva realizzata con blocchi di granito, addossati con cura a un’imponente roccia che fa da parete.
Un luogo isolato dal mondo ancora oggi che nell’antichità serviva per la lavorazione del latte e dei cereali, la cottura del pane e di altri cibi, così come testimoniato da diversi reperti rinvenuti sia negli ambienti interni che sulla terrazza dell’edificio. Si vedano in particolare un pugnaletto a elsa gammata, una statuetta di offerente e un ripostiglio di bronzi, utili anche per datare il Nuraghe Albucciu tra la fine del Bronzo Medio e l’Età del Ferro (1400-650 a.C. circa).
La breve passeggiata che conduce da questo corpo centrale alla Tomba dei Giganti, posta a circa 80 metri, permette di attraversare l’area un tempo occupata da un villaggio di capanne, di cui si può ancora intuire la consueta conformazione circolare.

Nuraghe Loelle

I nuraghe potevano essere sostanzialmente di due tipologie: a tholos, quindi con una pseudo cupola a volta, o a corridoio. Il Nuraghe Loelle è di tipo misto, formato da una torre centrale e da un bastione trilobato. Situato fra graniti, boschi e macchia mediterranea nella zona del Monte Acuto, nel cuore della Gallura, nel sassarese, il Loelle è frutto di una serie di riadattamenti occorsi nei secoli: una rampa di scale posta all’ingresso conduce a girare in senso orario attorno alla torre, e una volta al secondo livello, si trova un altro corridoio che permette di salire al terzo livello ma, al termine dello stesso, anche di tornare al piano terra. La visita del sito termina a circa centro metri da qui, dove si trova una Tomba di Giganti, della quale sono visibili i filari del corridoio e tracce dell’esedra.

Nuraghe Costa

Visitare una fortezza preistorica non è cosa da tutti i giorni, per di più immersa in un’oasi naturalistica fra le più belle e selvagge della Sardegna. Accade a Burgos, paese del sassarese noto sia per la Foresta Burgos, sia per la presenza del Nuraghe Costa, detto Sa Reggia per le sue dimensioni generose. Si tratta infatti di un edificio di 450 mq di superficie, con la classica pianta pentalobata, con torre centrale e mastio di 14 metri di diametro con quattro torri minori. L’elemento distintivo del Nuraghe Costa è però la cinta muraria difensiva affacciata su un dirupo e in ottimo stato di conservazione, lunga 70 metri e alta tre e con un camminamento di ronda largo oltre un metro, al di là della quale si scorgono i resti di una quarantina di capanne.

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