Il Convento di San Domenico a Narni è la porta di accesso a un mondo nascosto e misterioso, fatto di corridoi e ambienti ipogei noti come Narni Sotterranea. Nel 1979, sei giovani speleologi scoprono per caso la chiesa del XII secolo che si sviluppa proprio sotto il convento.
E’ l’inizio di una serie di scavi e perlustrazioni che in breve tempo portano al recupero di una fitta ramificazione di vie sotterranee, oggi in parte aperte al pubblico per le visite guidate. Dalla chiesa, attraversando un muro si accede a una cisterna di epoca romana, probabile resto di una ricca domus.
Da qui, percorrendo un lungo corridoio, si entra in una grande sala, in origine adibita a sede degli interrogatori del Tribunale dell’Inquisizione. Era la cosiddetta Stanza dei Tormenti, appellativo ritrovato nei documenti degli Archivi Vaticani e, grazie a chissà quale link di connessione, persino al Trinity College di Dublino.
Da una parte il sacro e l’ultraterreno, dall’altra l’immaginifico e il sogno. Due “mondi” che si incontrano a Montegiove, piccola frazione del Comune di Montegabbione, in provincia di Terni: qui, fra il 1958 e il 1978, accanto a un convento medievale dove avrebbe soggiornato San Francesco, l’architetto Tomaso Buzzi – già artefice insieme a Piero Portaluppi di Villa Necchi Campiglio a Milano – realizza La Scarzuola, modello di “città ideale” composto dall’insieme di sette diverse scene teatrali, metafore di vita anche per la loro voluta incompiutezza, allusive al mistero assoluto dell’esistenza.
Durante la visita del complesso, che si sviluppa dentro una spirale formata da vari pergolati, basta guardarsi attorno per cogliere molti riferimenti simbolici, esoterici, illuministi, anche a precedenti architettonici importanti: passando dall’anfiteatro al Teatro Agnostico, al Teatro Erboso a quello delle api e al labirinto musicale, ecco sfilare i riferimenti a Villa Adriana e Villa d’Este a Tivoli, all’Acropoli di Atene, al Parco di Bomarzo, ai ben noti stilemi di Andrea Palladio.
Il risultato è che La Scarzuola è oggi un compendio del meglio dell’architettura di tutti i tempi, ulteriormente arricchito e reso disponibile al pubblico dal proprietario succeduto al Buzzi, Marco Solari, nipote dell’architetto milanese.
Il Pozzo di San Patrizio a Orvieto è un autentico capolavoro di ingegneria, ancora oggi ammirato da chi per mestiere costruisce, progetta, sogna di realizzare qualcosa di unico e originale. Caratteristiche che distinguono appunto il pozzo da cinque secoli.
A disegnarlo fu fra il 1527 e il 1537 Antonio da Sangallo il Giovane, per volere di Clementi VII che, dopo la tragica esperienza del Sacco di Roma, volle così tutelare la città di Orvieto da eventuali incursioni nemiche, garantendo un afflusso costante di acqua, alimentato da una sorgente naturale posta sul fondo. Due rampe elicoidali scavate nel tufo, una per la discesa e una per la risalita disposte a formare un cilindro di 13 metri di diametro con 72 finestroni, consentivano di trasportare con i muli l’acqua estratta a una sessantina di metri di profondità.
Oggi, i 248 gradini sono percorsi da una media di 175.000 visitatori all’anno, affascinati da questa straordinaria struttura, simbolo della città insieme al Pozzo della Cava, voluto sempre da Papa Clemente VII, generato dal complesso di nove grotte ricche di ritrovamenti etruschi, medioevali e rinascimentali.
Questi luoghi sono solo un entrée di ciò che offre Orvieto Sotterranea, il cui tour guidato rende accessibili un intricato labirinto di cunicoli, gallerie, cisterne, pozzi, cave e cantine.
Delle numerose dimore realizzate dai Medici nei dintorni di Firenze, Villa La Petraia è sicuramente una delle più affascinanti. Dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco insieme alle altre Ville e Giardini Medicei di Toscana, il “palagio” della Petraia apparteneva nel XIV secolo alla famiglia Brunelleschi. Passando di mano in mano, nel 1544 divenne dimora di Cosimo I de’ Medici, che la donò poi al figlio, il Cardinale Ferdinando, il quale, una volta nominato Granduca di Toscana, decise di lasciare la sua impronta. Fece dunque realizzare una serie di terrazzamenti per accogliere lo splendido Giardino, nota distintiva che ancora oggi caratterizza l’edificio. Nei secoli, la villa è stata arricchita di opere e capolavori di ogni genere, fra cui spicca il ciclo di affreschi realizzato dal Volterrano e da Cosimo Daddi. Celebre la scultura bronzea del Giambologna raffigurante Venere-Fiorenza, portata qui dalla fontana di Villa di Castello e oggi conservata all’interno.
La statua in porfido dell’imperatore Adriano, unica nel suo genere, quella della Peplophoros dal Palazzo Da Cepparello, replica romana di un originale greco del V secolo a.C., sarcofagi e sculture etrusche in nenfro da Tuscania, un sarcofago femminile da Tarquinia di mirabile fattura, i resti del corredo della “Tomba della Mula” e sculture funerarie di botteghe fiesolane arcaiche… Per essere una sede “distaccata” del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, Villa Corsini a Castello vanta una collezione a dir poco invidiabile di reperti di varie epoche, cui si aggiunge la bellezza della dimora stessa, uno dei massimi esempi di architettura tardo-barocca fiorentina. Costruita da Cristofano Rinieri, Consigliere del Duca Cosimo I, la villa tramanda il nome di quello che a partire dal 1697 fu il suo secondo proprietario, Filippo Corsini, Consigliere di Cosimo III de’ Medici, che la scelse per la vicinanza alla dimora medicea della Petraia, una delle residenze estive del Granduca. Corsini affidò a Giovanni Battista Foggini (1652-1725), architetto e scultore granducale oltre che direttore delle Manifatture di Corte, il compito di trasformarla in una delle dimore più raffinate dell’epoca. E ci riuscì. La proprietà rimase in mano ai Principi Corsini fino alla Seconda Guerra Mondiale, quando venne occupata dalle truppe tedesche.
Fra alterne vicende e vari passaggi di mano, dal 2015 Villa Corsini a Castello è parte della Direzione regionale musei della Toscana e ospita appunto la sezione distaccata delle Sculture Etrusche e Romane del Museo Archeologico Nazionale di Firenze.
Si intitola “La Quiete che domina i venti” l’affresco di Giovanni da San Giovanni che decora una delle dimore più belle e significative dei dintorni di Firenze, da cui il nome “Villa La Quiete”. La zona è quella nota come Castello, particolarmente felice perché intrisa di arte e storia grazie al fatto che a popolarla di sontuose residenze furono i Medici, che qui costruirono Villa di Careggi, Villa di Castello e Villa della Petraia.
Impossibile riassumere tutte le vicende occorse a Villa La Quiete dalla sua fondazione nel XV secolo in poi, ma basti dire che qui sono transitate alcune delle più importanti famiglie della Toscana e non solo, da Cosimo I de’ Medici, che la donò all’Ordine di Santo Stefano, a Cristina di Lorenza, che fece realizzare un Corridoio Vasariano che la collegava al vicino monastero camaldolese, un po’ come l’omonimo passaggio sospeso su Ponte Vecchio in centro a Firenze. Il Complesso venne poi ereditato nel 1636 dal Granduca Ferdinando II, per passare dopo una quindicina di anni a Eleonora Ramirez de Montalvo, che la destinò definitivamente alla Congregazione delle Montalve. Da quel momento, la villa venne ribattezzata Istituto della Quiete, accogliendo ed educando ragazze di buona famiglia per oltre tre secoli, fino al 1992. In quell’anno, la dimora divenne prima proprietà dell’Università degli Studi di Firenze, e poi della Regione Toscana, che l’ha destinata a sede del Sistema Museale di Ateneo. Molti i capolavori in essa custoditi: basti citare l’Incoronazione della Vergine di Sandro Botticelli e la Madonna con Bambino di Ridolfo del Ghirlandaio. Splendidi il Cortile della Lanterna, la farmacia seicentesca e il giardino all’italiana, spazi in cui si respira ancora un’allure aristocratica e mistica insieme.
La casa-museo intitolata a Frederick Stibbert offre una di quelle esperienze inaspettate per chi ha in mente solo la Firenze rinascimentale. Il capoluogo toscano, da sempre luogo attrattivo per personaggi di grande spessore intellettuale e culturale, va ben al di là di ciò che fu al tempo dei Medici e dei Granduchi di Toscana. Entrando a Villa di Montughi, immersa in un romantico parco all’inglese alle porte della città, ci si immerge in quella che era la realtà fuori dal comune di Frederick Stibbert, uomo di grande cultura e collezionista d’arte che dedicò la sua esistenza alla realizzazione di una straordinaria raccolta di pezzi unici. Nato a Firenze nel 1838 da padre inglese e madre italiana, trascorse gli anni dello studio in Inghilterra, al seguito del padre, colonnello delle prestigiose Coldstream Guards, e del nonno governatore generale del Bengala, India, artefice dell’immensa eredità ereditata da Frederick ad appena 20 anni. La casa-museo raccoglie oggi quasi 50 mila pezzi fra armi e armature di ogni epoca e provenienza, esposte nella splendida Sala della Cavalcata, e in altri spazi, dedicati uno all’armeria islamica e uno a quella giapponese. Non mancano poi collezioni di altro genere, di quadri, porcellane e costumi europei e orientali. Da visitare anche il parco, disegnato dall’architetto Giuseppe Poggi, lo stesso che progettò i viali di Firenze, dove si scoprono ora il tempietto egizio, ora quello ellenistico, una scuderia e una limonaia.
Villa-fattoria, ma pur sempre una villa, aristocratica e sontuosa. Quella di Careggi fu la terza dimora campestre della famiglia dei Medici, ristrutturata come le prime due – di Cafaggiolo e del Trebbio, nel Mugello – da Michelozzo, architetto artefice anche della residenza fiorentina di Palazzo Medici in Via Larga. Fra i capitoli più importanti nei suoi oltre cinque secoli di vita, c’è quello che nel 1459 vide nascere qui l’Accademia Neoplatonica, la più importante scuola filosofica dell’umanesimo italiano, cui presero parte fra gli altri Pico della Mirandola e Marsilio Ficino. In quegli stessi anni, nel 1448, vide la luce in queste stanze Lorenzo il Magnifico, che trovò in Careggi la sua residenza preferita, letteralmente fino al suo ultimo giorno, morendo qui nel 1492.
Dietro una facciata lievemente curvilinea e somigliante a una fortezza per via della merlatura, si scoprono quattro piani articolati in numerosi ambienti: al piano terra si trovano la cappella, alcune sale di rappresentanza e lo scalone principale di collegamento alle stanze del piano superiore, da cui si può godere una bella vista sul giardino formale e sul grande parco paesistico disposto su tutti i lati. L’attuale impianto del parco, caratterizzato da specie arboree ad alto fusto, con presenza di varie specie esotiche, risale all’800, in seguito ai lavori voluti da Sir Francis Joseph Sloane, proprietario di Villa di Careggi dal 1848 al 1901. Dopo alterne vicende, nel 2013, anno dell’inserimento delle Ville e Giardini Medicei nel listing dell’Unesco, Careggi ha finalmente trovato nuova vita, grazie all’intervento della Regione Toscana che ha intrapreso un lungo percorso di restauro del complesso.
Quando nel 1882 venne inaugurata la Sinagoga di Firenze, il quartiere della “Mattonaia” era ancora una distesa di orti e giardini e il centro città era lontano. Oggi, la realtà urbana è molto diversa ma la Sinagoga rimane di certo uno degli esempi più significativi in Europa di architettura “esotica”, con una fusione di elementi moreschi, arabi e bizantini che connotano sia la pietra calcarea rosea esterna che gli interni, di legno intagliato e decori dipinti ad arabeschi blu e rossi. La cupola centrale e quelle delle torri laterali spiccano in mezzo ai tetti, rivestite di rame in origine dorato, e fanno quasi da contrappunto alla cupola del Brunelleschi, cuore del capoluogo toscano.
Al primo piano dell’edificio si trova il Museo di Arte e Storia Ebraica, fondato nel 1981 e ampliato nel 2007, con un nuovo spazio, la Sala della Memoria, dedicata alla Shoah.
Il 12 Marzo 1871, in via Faenza a Firenze, all’interno del cosiddetto “Cenacolo di Foligno”, avvenne un fatto di portata europea: la nascita del primo museo italiano come istituzione statale, fenomeno che stava prendendo piede rapidamente nel Vecchio Continente. In quell’occasione così speciale, il taglio del nastro spettò a re Vittorio Emanuele II, che inaugurò così il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, uno dei più antichi in Italia e ad oggi il più grande museo archeologico d’Italia a nord di Roma. Qui trovavano finalmente una sede definitiva le ricche collezioni del Museo Etrusco, che comprendevano anche le antichità greche e romane delle raccolte medicee e lorenesi, nel medesimo palazzo dove già dal 1855 era stato collocato il Museo Egizio, secondo in Italia solo a quello di Torino, grazie all’unione delle collezioni appartenute in passato ai de’Medici e al Granduca di Toscana Leopoldo II. Si deve infatti a quest’ultimo e a Carlo X re di Francia il finanziamento della celebre spedizione scientifica in Egitto diretta da Jean-François Champollion, il decifratore dei geroglifici, e dal pisano Ippolito Rosellini, suo amico e discepolo, che sarebbe diventato il padre dell’egittologia italiana.
Oggi, nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze è possibile ammirare ceramiche, bronzi e sculture litiche, la collezione dei bronzetti etruschi, quella dei bronzetti greco-romani, il Monetiere – una delle più grandi e più complete raccolte pubbliche di monete antiche – la straordinaria e preziosissima Galleria delle Gemme, il Museo Egizio (inclusa una selezione delle stoffe copte), parte della sezione topografica, il giardino monumentale e una ricca selezione dei vasi greci, fra cui il celebre Vaso François.