Badia di Morrona

Nella millenaria Badia di Morrona a Terricciola, in provincia di Pisa, oggi si parla di sostenibilità. La produzione di vino e olio ricavata dai 600 ettari che circondano la proprietà segue infatti i dettami dell’eco compatibilità, dei rispetto dell’ambiente che qui ha forte voce in capitolo. Siamo infatti nelle Terre di Pisa, caratterizzate da distese di colture agricole, in particolare di vite e olivo, da un paesaggio in cui la Badia di Morrona ha un posto importante dal 1089. A costruirla fu un ricco proprietario terriero, che trovò nei monaci dei fidi “collaboratori” che potevano gestire servi e braccianti assoldati per la cura dei campi.

La chiesa, in stile romanico e in pietra locale, è stata restaurata in modo da rispettarne il fascino mistico tipico del Medioevo. Lo si avverte in particolare nello splendido chiostro, da cui si accede al refettorio e al parco esterno, belvedere sulle verdi colline della Valdera.
Fra le curiosità di questo luogo c’è quella legata alla Madonna di San Torpé, conservata nella chiesa: l’opera è dedicata al martire cristiano che fu decapitato alla foce dell’Arno e giunto in modo misterioso sull’odierna spiaggia di Saint Tropez (da cui il nome della località francese).

La villa padronale, cuore del complesso monastico, risulta semplice nonostante la ricca collezione di pezzi d’arte di epoche diverse, che ne fanno una “casa-museo” sui generis: dai mosaici di epoca bizantina risalenti al V secolo d.C. ai cippi etruschi alle colonne in marmo, fino alle anfore romane ritrovate in mare.

Chiesa di San Lorenzo

Nel rileggere gli annali della Chiesa di San Lorenzo ad Acquasanta, nell’ascolese, ci si può perdere in mille rivoli, fatti di personaggi storici, artisti, scultori, proprietà diverse che si sono succedute nella gestione di questo luogo di culto datato al 1275, che si fa ricordare soprattutto per il suo pavimento realizzato in lastroni di travertino interrotto da alcune pietre tombali e per una delle raffigurazioni più famose e misteriose del “Sator”, il Dio seminatore ma con la falce in mano, pronto a mietere. Un “dettaglio” che ha fatto pensare che il luogo fosse in qualche modo legato all’Ordine dei Cavalieri Templari. Da notare per la qualità di realizzazione sono anche il baldacchino del Quattrocento, scolpito sempre in travertino da artigiani locali, e l’altare alto 25 palmi, del 1626.

Chiesa di San Giovanni Battista

La Chiesa di San Giovanni Battista ad Acquasanta, in provincia di Ascoli Piceno, ha origini antichissime, che vanno indietro nel tempo di secoli, oltre l’anno 1039. Già a metà dell’XI secolo, infatti, l’edificio veniva donato ai monaci farfensi. Ciò detto, quanto si apprezza oggi risale invece a due interventi importanti fatti più di recente, ossia alla seconda metà del Settecento e nel 1895.

Per quanto ci si trovi in un piccolo centro, il processo di urbanizzazione ha toccato anche questa parte delle Marche: se infatti fino all’inizio dell’Ottocento la chiesa si trovava in una posizione isolata rispetto all’abitato, oggi ne è parte integrante, senza soluzione di continuità. Il suo campanile con quattro pinnacoli sommitali si fa notare un po’ ovunque, e una volta davanti alla chiesa se ne apprezza la semplicità dell’impianto, con portale in travertino e facciata interamente costruita in conci di pietra. Varcata la soglia, si nota il netto contrasto fra la sobrietà esterna e la ricchezza d’arredi distribuiti nell’unica navata, fra cui qualche opera di buona fattura a firma dell’artista ascolano dell’Ottocento Giulio Cantalamessa.

Eremo di Gamogna

Località Comune di Marradi. Diocesi di Faenza-Modigliana. Anno di consacrazione 1053. Stile architettonico romanico. L’Eremo di Gamogna è una di quelle mete capaci di arricchire un viaggio, grazie alle sue atmosfere mistiche, ai suoi silenzi, alla natura rigogliosa dell’Appennino Tosco-Romagnolo che lo avvolge. Gli annali raccontano di quando San Pier Damiani lo fondò dedicandolo a San Barnaba, per accogliere i monaci Camaldolesi della vicina Badia di Acereta, detta anche Badia della Valle. Di quell’epoca rimangono il chiostro, le celle, il forno, gli essiccatoi e la stalla, ambienti che rimangono a memoria delle molte attività che permettevano alla comunità monastica di essere autosufficiente. Ad oggi, le medesime celle sono abitate dalle Monache dell’Ordine Fraternità Monastiche di Gerusalemme, grazie alle quali il complesso dell’Eremo di Gamogna è visitabile e fruibile come luogo di preghiera.

Chiesa di Santa Maria Novella Montelparo

Fra i tetti del borgo di Montelparo, in provincia di Fermo, si identificano numerose croci e campanili di edifici religiosi, costruiti tutti fra il XIII e il XVII secolo. Una delle più antiche è la Chiesa di Santa Maria Novella, consacrata nel 1383 ma già esistente alla fine del Duecento, stando ad alcuni documenti della Santa Sede riguardanti tributi e pendenze economiche, periodo in cui dipendeva dal Monastero Farfense di Santa Vittoria in Matenano. Come per la quasi totalità degli edifici del borgo, la facciata della chiesa è realizzata in laterizi, con un portale in pietra arenaria che apre su interni in stile neo-classico, dovuti a un rimodernamento del 1790. Sotto un soffitto definito da un’unica volta a botte, sono disposti dipinti su tela, su tavola, murali e affreschi, fiore all’occhiello della chiesa e di Montelparo.

Chiesa dei S.S. Pietro e Silvestro Montelparo

Dietro la sua semplicità architettonica, la Chiesa dei SS. Pietro e Silvestro a Montelparo nasconde una storia di oltre 8 secoli con alterne vicende. Una bolla papale del 1460 sanciva per esempio che dopo due secoli di vita, l’edificio doveva passare dalla proprietà del Monastero di S. Angelo Magno di Ascoli, che allora lo aveva affidato ad alcune monache, ai monaci della Congregazione Olivetana, che nel 1555 unirono alla Chiesa di S. Pietro de Roncone la chiesa rurale di S. Silvestro. Una volta varcata la soglia del portale gotico in pietra arenaria ci si ritrova in uno spazio unico, a una singola navata, che dà su una sagrestia disposta su due piani. E qui lo sguardo non può che soffermarsi su un ciclo di affreschi del XVI secolo di pregevole fattura.

Chiesa di San Michele Arcangelo

A metà strada fra il Mar Adriatico e i Monti Sibillini, su un colle che guarda sulla Valle dell’Aso, si trova Montelparo, borgo medievale con una notevole presenza di chiese. Su Via Castello, un tempo area in cui sorgeva una fortezza difensiva, affaccia la quattrocentesca Chiesa di S. Michele Arcangelo, in precedenza intitolata a S. Angelo. Dei tre portali, quello centrale è gotico-rinascimentale e i due laterali cinquecenteschi, e aprono su un’unica navata che va a terminare su un presbiterio rialzato. Un tempo, i due portali laterali davano accesso uno all’Oratorio della Confraternita del SS.mo Sacramento, l’altro all’antico Monastero Benedettino, creando un complesso assai articolato che lascia intendere l’importanza di Montelparo, all’epoca centro religioso di spicco.

Della Chiesa di S. Michele Arcangelo meritano un’annotazione a parte gli affreschi del presbiterio, dovuti a maestranze dalmate del ‘400, oltre agli affreschi lungo le pareti laterali tra cui quello rappresentante il Mistero della Umana Salvezza attribuiti al Maestro Giacomo Bonfini da Patrignone. Gli affreschi, insieme al monastero e alla cripta, sono oggetto di un restauro, che punta a restituire la giusta importanza a questo pezzo di storia, del territorio fermano e dell’arte.

Chiesa di San Gregorio Magno

Gregorio Petrocchini è stato uno degli abitanti più illustri di Montelparo. Appena eletto Cardinale, volle donare al suo paese un luogo di culto, la Chiesa di San Gregorio Magno, consacrata nel 1615.
La sua generosità non si fermò però qui: donò alla chiesa numerosi oggetti di culto, importanti reliquie e pure un considerevole lascito per i prelati che dovevano gestirla.

Buona parte di questa ricchezza andò però distrutta nel 1745 a causa di un incendio. Fra i pochi oggetti superstiti di quella tragedia ci sono ancora oggi i quattro altari laterali, i paliotti di manifattura romana e i quadri settecenteschi della Via Crucis, da attribuire alla bottega fermana del Troiani. Elemento di spicco sono pure le tre campane collocate nel campanile a vela, fra cui una datata al 1354 e proveniente dal Castello di Bucchiano.

Abbazia SS. Ruffino e Vitale di Amandola

In un paesaggio incontaminato che guarda sui Monti Sibillini, si colloca l’Abbazia benedettina dei Santi Ruffino e Vitale, fra i numerosi gioielli architettonici del borgo medievale di Amandola, nel fermano. Lo stile romanico riporta alla seconda metà del XI secolo, e ai numerosi passaggi di proprietà documentati sin dal 1267, anno in cui i Signori di Monte Pasillo, pur di mantenere i diritti sul monastero e i suoi terreni, vendettero al Comune di Amandola il castello, il Monte di Marnacchia e le 180 famiglie che vi risiedevano, cosa che poi si ripeté dieci anni dopo con un’altra famiglia, i Signori De Smerillo.
Le tre navate dell’abbazia, in semplice pietra, conducono fino alla cripta, che ne ha cinque di navate, e dietro l’altare custodisce il vero tesoro, le reliquie di San Ruffino martire. Da ammirare sono anche due affreschi di stile tardo medioevale: la Vergine in trono con il Bambino e la Madonna col Bambino che porge a San Ruffino martire un ramoscello.

Per secoli, l’Abbazia ha esercitato un forte impulso su tutto il contesto sociale, sia dal punto di vista religioso che economico, fino a quando, dopo anni di abbandono e molteplici ricostruzioni, non è stata restaurata insieme all’adiacente monastero, e ora è pronta ad accogliere credenti e visitatori.

Chiesa di Santa Maria della Misericordia a Piè D’Agello

Il prospetto alle spalle della Chiesa di Santa Maria della Misericordia a Piè D’Agello è quello delle verdi colline nei dintorni di Amandola, borgo medievale del fermano conosciuto come la “Regina dei Sibillini”. Pace e silenzio sono la nota distintiva di un luogo votato alla protezione dei fedeli contro le avversità, così come racconta la dedicazione alla Madonna della Misericordia o del Soccorso. Dal 1403 in poi, questa piccola chiesa di campagna in laterizi è stata la tappa di pellegrini e credenti, ma anche di un certo numero di artisti che ne hanno arricchito gli ambienti con opere pittoriche e non solo. Oggi, dei molteplici adattamenti rimane ciò che è riemerso sotto gli strati di calce durante un restauro relativamente recente, effettuato nel 1973. Motivazioni votive emergono nelle diverse figurazioni di santi che affollano le pareti del santuario, esperienze artistiche provinciali eseguite da artisti “minori” di maestranze umbro-marchigiane della seconda metà del ‘400, con risultati per lo più di gusto tardogotico.

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