Necropoli Monumentale di Avella

L’antica città di Abella, il cui nome potrebbe derivare da “nux abellana,” la noce abbondante nella zona menzionata anche da Plinio il Vecchio, sorge lungo una strada che collega la pianura Campana con la valle del Sabato e il Sannio Irpino. Nonostante sia una via meno agevole rispetto alla Via Appia, questa strada è sempre trafficata fin da sempre. La coltivazione della preziosa nux Abellana, unita allo sfruttamento dei boschi e all’allevamento nelle zone collinari, costituiva una vera e propria fonte di ricchezza economica.
Lungo le strade che collegano l’antica Abella alle località circostanti, si ergono imponenti monumenti funerari romani. Questi mausolei, costruiti in opus incertum o reticolatum con inserti di laterizio, appartengono a tipologie architettoniche ben conosciute in altri centri della Campania antica. La necropoli monumentale, sviluppatasi tra la tarda età ellenistica e i primi anni dell’Impero Romano, si dispiega lungo una strada extra-urbana che si estendeva dalla città di Abella verso ovest, dirigendosi verso la pianura campana.
Il complesso, ora aperto al pubblico, include quattro mausolei funerari delimitati da recinti, costruiti con laterizio e pietra calcarea. Questi mausolei presentano una pianta quadrata con parti superiori cilindriche che terminano con cuspide o edicola. All’interno dei mausolei erano presenti letti tricliniari per i banchetti funebri. Particolarmente degna di nota è la tomba contrassegnata dal numero 88, la cui camera ipogea è stata rinvenuta ancora sigillata. Le tipologie architettoniche dei monumenti funebri di Avella si riscontrano in altre parti della Campania e costituiscono esempi preminenti di architettura funeraria romana.
La Necropoli Monumentale di Avella è gestita dal Comune di Avella e, unitamente all’Anfiteatro di Avella e al Castello di Avella, rappresenta uno dei principali siti archeologici della città. È possibile acquistare un unico biglietto per l’accesso a questi tre siti e richiedere l’assistenza di guide turistiche ufficiali della regione. Inoltre, il comune fornisce un servizio di navetta per collegare i principali siti archeologici. Nel sito web del comune, nella sezione “Avellartelis,” è disponibile una guida ai siti archeologici in Lingua Italiana dei Segni (LIS).
L’ufficio turistico di Avella regola gli ingressi alla Necropoli Monumentale e offre la possibilità di organizzare visite guidate con guide turistiche ufficiali della regione. Avella è facilmente raggiungibile attraverso la S.S. 7/bis e l’autostrada Napoli – Bari, grazie ai caselli autostradali Nola – Baiano, oltre che dai treni e mezzi pubblici gestiti dalla circumvesuviana.

Castello di Avella

Il maestoso Castello di Avella, che si erge imponente su una collina lungo la parte orientale della pianura campana e affacciato sul fiume Clanio, racchiude in sé la storia di una roccaforte longobarda. Costruito nel VII secolo e dedicato all’arcangelo Michele, aveva il compito di sorvegliare il confine. Nel corso dei secoli, il castello subì vari attacchi, tra cui l’assalto saraceno nel 883.

Situato a un’altitudine di 320 metri sul livello del mare, il Castello di Avella fu edificato dai Longobardi nel VII secolo d.C. sui resti del tempio di Ercole. Questo primo insediamento potrebbe aver svolto la funzione di avamposto militare, contribuendo al controllo della strada tra Avellino e Benevento e alla difesa dal Ducato bizantino di Napoli. Nel corso dei secoli, il castello passò di mano tra diverse dinastie, tra cui i baroni di Avella di origine normanna, i Del Balzo, gli Orsini e i Doria del Carretto, fino a giungere nelle proprietà della famiglia Spinelli che nel 1533 restaurò la fortezza. La struttura fortificata presenta una forma trapezoidale con tre aree distinte disposte in modo quasi concentrico. La prima comprende il palatium Mastio, le cui murature interne realizzate con tufo e rari pezzi di calcare sagomato conservano tracce delle modifiche subite nel corso dei secoli. Un elemento caratteristico è la torre circolare situata nell’angolo sud-est del palatium, tipica dell’architettura angioina. Questa torre alta e slanciata serviva alla difesa dell’accesso principale. All’interno della torre, si trovano ambienti per la residenza e servizi, mentre la cisterna è al piano inferiore. Le seconde e terze aree sono costituite da due cinte murarie.

Nonostante la sua importanza come complesso medievale, solo recentemente il Castello di Avella è stato oggetto di esplorazioni sistematiche, grazie a finanziamenti destinati a creare un parco archeologico. Le indagini condotte tra il 2000 e il 2001 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Salerno, Avellino e Benevento si sono concentrate sulla rocca per definirne lo sviluppo planimetrico e stabilire una periodizzazione basata su stratigrafia delle fasi di occupazione.

Il Castello di Avella, gestito dal Comune di Avella, insieme all’Anfiteatro di Avella e ai Monumenti funebri della necropoli romana, rappresenta una delle principali attrazioni della città. È possibile acquistare un biglietto unico che consente l’accesso a questi tre siti archeologici, e richiedere una guida ufficiale della regione per una visita guidata. Inoltre, il comune mette a disposizione un servizio di navette che collega i siti principali. Il sito web del comune dispone di una guida ai siti archeologici in Lingua Italiana dei Segni (LIS).

L’ufficio turistico di Avella regola gli ingressi al sito archeologico e offre la possibilità di prenotare visite guidate con guide turistiche ufficiali della regione. Durante i mesi estivi, dall’inizio di giugno a settembre, è attivato il format “TRAMONTO ED APERITIVO AL CASTELLO”, che comprende incontri, visite guidate all’anfiteatro romano, al centro storico (Convento e Palazzo Baronale) e al Castello di Avella, seguite da un aperitivo con vista panoramica sul Vesuvio e sul tramonto.

Avella è facilmente raggiungibile attraverso la S.S. 7/bis e l’autostrada Napoli – Bari, grazie alla presenza dei caselli autostradali Nola – Baiano, oltre che dai treni e mezzi pubblici gestiti dalla circumvesuviana.

Anfiteatro di Avella

L’anfiteatro di Avella costituisce uno dei siti archeologici di maggior rilevanza all’interno della città, accanto all’area archeologica della necropoli monumentale e al maestoso Castello di Avella, conosciuto anche come Castello di San Michele.

Il nome antico di questa città, Abella, sembra derivare dal termine “nux abellana”, in riferimento alle noci presenti in abbondanza nella zona, menzionate anche da Plinio il Vecchio. Situata lungo la via che collegava e collega ancora oggi la pianura campana con la valle del Sabato e il Sannio Irpino, Avella, pur essendo su una strada meno agevole rispetto alla celebre Via Appia, è stata da sempre un punto di passaggio importante. Le attività economiche erano varie, spaziando dalla coltivazione delle preziose noci Abellana alla sfruttamento delle risorse boschive e all’allevamento nelle zone collinari circostanti.

L’anfiteatro, costruito in opus reticulatum di tufo, richiama le maestose rovine di Pompei. Questo struttura, di ampie dimensioni, svolgeva anche il ruolo di sede per vari eventi culturali e poteva accogliere fino a 3000 persone. La sezione meridionale dell’anfiteatro poggia su robuste costruzioni a volta, mentre l’arena si trova al di sotto del livello circostante. Notevolmente conservati sono i due vomitorii principali lungo l’asse maggiore dell’ellisse (itinera magna), che presentano ambienti laterali. Inoltre, il podio che separava la curva dall’arena è stato restaurato e preserva intatta la sua struttura. I sedili in tufo dell’ima cavea sono interrotti da podii (tribunali) lungo l’asse minore. Nel periodo tardo imperiale, furono avviate costruzioni di stalle all’interno del podio, ma queste furono abbandonate a seguito degli eventi che portarono al collasso dell’Impero Romano d’Occidente.

L’ufficio turistico di Avella gestisce gli ingressi al sito archeologico e offre la possibilità di prenotare visite guidate con guide turistiche ufficiali della regione. Un biglietto unico consente l’accesso all’anfiteatro, ai monumenti funerari della necropoli e al Castello di Avella. Inoltre, il Comune mette a disposizione un servizio di navetta che collega questi tre importanti siti archeologici. Chi preferisce immergersi nella storia passeggiando, può esplorare il centro storico di Avella lungo il decumanus maximus, l’antica strada principale, dove si possono ammirare diverse chiese e antichi palazzi.

Avella è facilmente raggiungibile tramite la S.S. 7/bis e l’autostrada Napoli – Bari, grazie alla presenza dei caselli Nola – Baiano, oltre che dai treni e mezzi pubblici gestiti dalla circumvesuviana.

Parco Sommerso di Baia

Atlantide esiste e si trova a nord del Golfo di Napoli. Si tratta del Parco Sommerso di Baia, istituito nel 2002, che insieme a quello di Gaiola costituisce un sito archeologico-ambientale unico nel suo genere. Entrambi sono oggi inseriti nel più vasto contesto del Parco dei Campi Flegrei, caratterizzato dal fenomeno del bradisismo, che nel corso dei secoli ha più volte modificato il volto di tutta l’area facendo emergere o sprofondare di parecchi metri alcuni tratti di costa.

E’ il caso del sito di Baia, dove cinque metri sotto il livello del mare si nascondono i resti di una delle residenze antiche più ricche e prestigiose di tutta la “riviera” campana, luogo di villeggiatura per eccellenza nel periodo imperiale. Il Pausilypon, questo il nome della dimora da cui deriva anche quello del Promontorio di Posillipo, fu costruito dal ricco liberto Publio Vedio Pollione, che nel 15 a.C. lo lasciò in eredità niente meno che ad Augusto.

Il ninfeo di Punta Epitaffio, una sorta di sala banchetti, è uno degli ambienti meglio conservati, un tempo decorato da statue oggi conservate nel Museo Archeologico dei Campi Flegrei, dove l’ambiente è stato ricostruito. Lungo questo breve tratto di costa si trovano anche i resti di ben tre porti commerciali – Lacus Baianus, Portus Julius e Capo Miseno – testimonianza di uno stile di vita florido e vivace, così come la presenza in questi siti sommersi di mosaici, tracce di affreschi e sculture a decoro di residenze importanti.

Oltre al valore storico-archeologico di tali reperti, a rendere prezioso il Parco Sommerso di Baia è anche la presenza di ecosistemi sommersi di valore naturalistico rilevante, grazie a un fondale precoralligeno popolato da Posidonia oceanica, anemoni, stelle marine e branchi di castagnole.

Pistoia Sotterranea

Tutto ha avuto inizio con le reliquie di San Jacopo. Nel corso del Medioevo, lungo il torrente Brana di Pistoia, correva una sorta di “cintura sanitaria” su cui si affacciavano gli Hospitales, luoghi di cura e accoglienza per malati che, nel disperato tentativo di salvarsi, inviavano dei pellegrini a Santiago di Compostela. Al ritorno, tali emissari dovevano consegnare ai malati una conchiglia salvifica. Mangiando la “capesanta”, l’infermo poteva così espiare tutte le sue colpe e sperare in una pronta guarigione. Ecco, questo antefatto va tenuto presente quando ci si appresta a percorrere i quasi 800 metri dell’itinerario ipogeo più lungo della Toscana. Pistoia Sotterranea, si chiama così, ripercorre passo a passo il tragitto che veniva fatto da malati e pellegrini, all’epoca detto Iter Compostellanun. Fra gli hospitales c’è anche l’Ospedale del Ceppo, primo esempio di struttura ipogea che nel corso dei secoli diede il via alla fusione di tutte le strutture architettoniche poste lungo il torrente. L’Iter di Pistoia Sotterranea è oggi accessibile esclusivamente attraverso visita guidata ed è aperto anche ai disabili con rampe di accesso e un sistema sperimentale a tappe di pannelli in braille con schemi della planimetria del sotterraneo per i non vedenti.

Integrato nel percorso c’è il Museo Pistoia Sotterranea, la cui visita prende avvio dall’anfiteatro anatomico più piccolo al mondo, il luogo in cui gli studenti di medicina assistevano alle lezioni analizzando un corpo posto al centro della stanza. Fra le curiosità da scoprire ci sono poi i cosiddetti butti, aperture sulle volte dove un tempo venivano gettate le ceramiche ormai rotte o altro genere di rifiuti, il mulino e il frantoio, ma anche il ponte Romano, l’Ospedale delle Monache Francescane di Santa Maria Nuova, il Convento delle Oblate e alcuni tratti delle antiche mura “comunali”. Altri punti di interesse sono Il Ponticello dell’Ospedale di Sant’Jacopo e Lorenzo, i lavatoi di San Lorenzo e la ferriera Beccaccini realizzata dalla Famiglia Beccaccini.

Villagio Nuragico Tiscali

Barbagia, Valle di Lanitto, Comune di Oliena. Bisogna arrivare fin qui, nel cuore più profondo della Sardegna e del nuorese per imbattersi in un luogo davvero singolare. All’interno di una montagna, si svela il villaggio ipogeo di Tiscali, un insediamento nuragico unico per topografia e architettura, generato dallo sprofondamento della roccia che ha causato a sua volta la formazione di una dolina. Scoperto a inizio XX secolo, Tiscali è la più importante testimonianza delle civitates Barbariae che popolavano il centro-est dell’Isola in età repubblicana, ultimo baluardo delle genti tardo-nuragiche prima dell’invasione romana.
Alto appena 500 metri, il monte Tiscali fa da spartiacque a due realtà assai diverse fra loro, i Supramonte di Oliena e di Dorgali: a ovest, l’aspra e selvaggia valle di Lanitto, a est, quella dolce e fertile di Oddoene, dove scorre il rio Flumineddu, che ha ‘scavato’ la gola di Gorropu. La dolina dove oggi si trova il villaggio era in origine una grotta carsica, poi, dopo il crollo, fu ‘colonizzata’ da lecci, ginepri, frassini, olivastri, lentischi e fichi. Un sentiero corre lungo il bordo della dolina, sull’orlo di un precipizio di 200 metri, dove si possono intuire le varie stratificazioni. L’insediamento è composto da due agglomerati, databili prima in età nuragica (XV-VIII secolo a.C.), poi ristrutturati in epoca romana e abitati sino all’alto Medioevo. L’esplorazione del sito permette di ammirare da vicino strutture abitative datate a oltre duemila anni fa: fra queste, quaranta capanne tonde e ovali, con pareti sottili e copertura a tholos (o frasche), e circa trenta abitazioni più piccole, quadrate o rettangolari.

Nuraghe di Palmavera / Complesso Nuragico di Palmavera

Fra il Golfo di Alghero e quello di Porto Conte, in provincia di Sassari, si trova il nuraghe di Palmavera, ai piedi dell’omonimo promontorio. Rinvenuto a inizio Novecento, è stato oggetto di scavi solo a partire dagli anni Sessanta, divenendo in breve uno dei più importanti siti archeologici della Sardegna. Per quanto vasto, ciò che si può ammirare oggi del complesso nuragico è stato calcolato essere pari a un quarto dell’originaria superficie del villaggio, che doveva comporsi di oltre 200 abitazioni. Le circa cinquanta ancora visibili sono però sufficienti a farsi un’idea di come doveva essere la vita fra il XV e il X a.C. Fra le costruzioni più imponenti ci sono il Mastio Centrale, alto otto metri e con un diametro di dieci metri, sormontato da una caratteristica copertura a tholos, e la Capanna delle Riunioni, all’interno della quale si può osservare una sorta di “modellino” di nuraghe realizzato all’epoca. Quello in situ è in realtà una copia, mentre l’originale si trova presso il Museo Nazionale Archeologico ed Etnografico G. A. Sanna di Sassari, insieme a ceramiche e bronzi rinvenuti nelle prime campagne di scavo degli anni Sessanta. Stando a quanto raccontano reperti e stato di conservazione delle abitazioni, il villaggio fu con ogni probabilità abbandonato verso la fine dell’VIII secolo a.C. a causa di un devastante incendio, per poi rinascere in epoca punica e romana, vale a dire a partire dal III secolo a.C.

I Giganti di Pietra di Campana

L’”Elefante” e il “Ciclope”. Sono questi i due nomi di fantasia dati alle misteriose formazioni rocciose note come “Giganti di Pietra di Campana”, o “Pietre dell’Incavallicata”, situate nei pressi di Campana, nel Parco Nazionale della Sila, in provincia di Cosenza. In realtà si tratterebbe di sculture megalitiche, alte la prima 5,5 metri e la seconda ben 7,5 metri, pur essendo mutilata nella parte alta, tanto da essere ribattezzata “Guerriero Seduto”.

Tre le ipotesi fatte circa la loro realizzazione, tutte generate dalla presenza della figura dell’elefante. La prima si rifà alla spedizione di Pirro, avvenuta nel III secolo a.C., la seconda a quella di Annibale in occasione della seconda guerra punica, la terza all’idea che si tratti di una riproduzione di un esemplare di Palaeoloxodon Antiquus, una specie di elefante estintasi nel Pleistocene ma nota ai primi abitanti della Calabria, che avrebbero poi realizzato la scultura. In effetti, quest’ultima tesi sarebbe avvalorata dal ritrovamento di un fossile di tale specie nel vicino Lago Cecita.

Parco Archeologico di Segesta

Seduti sui gradini del teatro antico di Segesta, lo sguardo si perde in una verde vallata che digrada dolcemente verso il mare. Per chi c’è stato, nulla da invidiare al teatro di Epidauro, nel Peloponneso, e nemmeno a quello di Siracusa, dall’altra parte della Sicilia. Siamo in provincia di Trapani, di cui il Parco Archeologico di Segesta è una delle principali attrazioni. Mancarne la visita sarebbe un peccato, perché aggirarsi fra i resti dell’antica città degli Elimi, popolo di cultura e tradizione peninsulare originario di Troia, regala una sensazione di pace e lascia ricordi di bellezza senza tempo. Splendido, oltre al teatro che ogni estate fa da sfondo a un Festival dedicato a tutte le forme d’arte, dalla danza alla musica, dalla recitazione alla poesia, anche il tempio in stile dorico perfettamente conservato, che fa immaginare il potere di questa antica colonia che nel 307 a.C. fu distrutta da Agatocle di Siracusa, il quale la ribattezzò Diceòpoli, “città della giustizia”, per poi rinascere sotto il dominio dei Romani. Quest’ultimi infatti, grazie alla leggendaria comune origine troiana, la esentarono da tributi, le diedero in gestione un vasto territorio e le permisero una nuova fase di prosperità. Non solo, tra il II e I secolo a.C., Segesta venne totalmente riprogettata, assumendo un aspetto fortemente scenografico, subendo poi gli influssi della cultura musulmana e infine normanno-svevo.

Necropoli di Realmese

Con 288 tombe a grotticella, la Necropoli di Realmese è di tipo Pantalicano, simile cioè alla celebre necropoli di Pantalica, in provincia di Siracusa. Qui siamo invece a 3 km da Calascibetta, nell’ennano, nel cuore della Sicilia centrale. Due le epoche di origine: le prime tombe risalgono all’età protostorica, cioè al IX secolo a.C., mentre le altre sono di età arcaica, del VI secolo a.C., in parte frutto di un riutilizzo delle precedenti fasi “costruttive”.
A riportare alla luce la necropoli di Realmese sono state una serie di campagne di scavo, la prima delle quali risalente agli anni 1949-1950. Condotta dall’archeologo Luigi Bernabò Brea, fece emergere numerosi reperti, fra ceramiche, coltellini, anelli, orecchini e fibule, utili per la datazione del sito archeologico. Monili e oggetti sono oggi esposti presso il Museo Regionale Paolo Orsi di Siracusa.

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