Ferro ed ematite. Per secoli, attorno a questi due minerali è stata costruita la fortuna della città, etrusca prima e romana poi, di Populonia, oggi al centro del Parco Archeologico di Baratti e Populonia. Siamo in Toscana, lungo la Costa degli Etruschi, alle pendici del promontorio di Piombino, che guarda sul Golfo di Baratti, un tempo dominato da questa ricca cittadina di cui si possono ancora vedere la vaste necropoli, le cave di calcarenite e i quartieri industriali dove si lavorava il minerale di ematite giunto dall’isola d’Elba per ricavare lingotti di ferro. Sull’acropoli si scorgono pure alcuni resti delle capanne che quasi tremila anni fa ospitavano le più antiche famiglie aristocratiche. Non distanti ci sono invece i resti monumentali di epoca romana, datati al II secolo a.C., in cui si identificano templi, terme e santuari. Aggirarsi fra queste rovine significa ripercorrere strade solcate dalle ruote dei carri, ammirando il golfo con l’Elba e la Corsica che fanno capolino all’orizzonte.
Ai piedi del promontorio si apprezzano anche le distese boscose al posto delle quali, fino a qualche decennio fa, prima delle bonifiche moderne, era un susseguirsi di laghi e lagune, ricche di pesce e di vegetazione palustre. Percorrendo i sentieri che risalgono il promontorio ci si imbatte poi nei ruderi del Monastero benedettino di San Quirico, ultimo scampolo di una città medievale ormai scomparsa.
Type of point of interest: Siti archeologici
Parco Archeologico e le Aree Archeologiche delle Tavole Palatine
Nell’antichità, dove c’era un corso d’acqua, sorgeva una città destinata in genere alla prosperità. Nel suo piccolo, Metapontum – il cui toponimo significa “fra due fiumi” – non ha fatto eccezione. Anzi. Sorta fra i corsi del Bradano e del Basento, fu una delle “poleis” più floride della Magna Grecia e della costa ionica dell’odierna Basilicata.
Oggi, Metaponto è una frazione del comune di Bernalda, in provincia di Matera, meta turistica dalle numerose attrattive: in primis, il sito archeologico e il museo annesso, il cui simbolo sono le cosiddette Tavole Palatine, dodici colonne in stile dorico resti dell’imponente Tempio di Hera, e le memorie legate alla scuola del matematico Pitagora, che qui visse e morì nel 495 a.C., Poi ci sono le spiagge di sabbia dorata mai troppo affollate, le strade tortuose, i paesaggi brulli che a tratti cedono il passo a vaste aree di macchia mediterranea, a suggestive pinete e a campi di grano. E infine le masserie trasformate in agriturismi o aziende agricole dove fare soste ritempranti a base di prodotti e piatti tipici.
Area Archeologica Su Nuraxi di Barumini
Su Nuraxi. Quello di Barumini è “il nuraghe” per eccellenza, il più complesso e rappresentativo degli oltre 7000 diffusi in tutta l’isola, nonché grande attrattiva della provincia del Sud Sardegna, che nell’insieme ne conta almeno una trentina. Il significato della parola stessa “nuraghe” – “mucchio di pietre”, “cavità” – anticipa le due caratteristiche principali delle costruzioni tipiche della cosiddetta civiltà nuragica, l’essere cioè un tipo di architettura militare difensiva con mura turrite. Sviluppatasi in un arco temporale di circa 1000 anni, a partire dal 1500 a.C., quella nuragica era una comunità probabilmente suddivisa in classi sociali alle quali appartenevano famiglie o clan.
Nella sua unicità, l’insediamento di Barumini presenta una stratificazione culturale sui generis, dilatata cioè su oltre 2000 anni – dal 1500 a.C. al VII sec. d.C. – che vide passare di qui anche i Fenici (V a.C.) e poi i Romani (II-I a.C), arrivando a occupare una vasta superficie che ad oggi è di più di 23.000 mq. Fulcro del sito archeologico è un nuraghe quadrilobato dalle dimensioni ciclopiche, con una torre centrale alta 14,10 metri e larga 10, circondato da un esteso villaggio di capanne sviluppatosi tutto intorno nel corso dei secoli successivi. Il principale materiale utilizzato per la sua costruzione è il basalto, una pietra vulcanica molto dura proveniente dall’altopiano della Giara, vale a dire la zona centro-meridionale della Sardegna identificata come Sulcis e Marmilla.
Pur nella sua vastità, Su Nuraxi è un tesoro riemerso solo di recente, negli anni ’50, grazie agli scavi condotti dal grande archeologo Giovanni Lilliu, la cui valorizzazione ha portato anche al più alto dei riconoscimenti, l’inserimento nel 1997 nel listing del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco.
Area Archeologica monumentale di Castello a Mare
In Via Crispi a Palermo si sviluppa l’Area Archeologica monumentale di Castello a Mare. Un luogo inaspettato, che spesso neanche i palermitani conoscono, ma che merita di essere visitato e apprezzato. Si tratta del “Castrum Inferior” posto all’imboccatura dell’antico porto della Cala. C’è chi sostiene l’esistenza di un precedente edificio di fondazione islamica, ma i recenti scavi archeologici della Sovrintendenza ai Beni Culturali di Palermo parlano del periodo compreso negli ultimi decenni dell’epoca normanna, fra il 1160 e l’inizio del XII° secolo. Di certo c’è che il primo documento giunto fino a noi in cui si cita il Castello a Mare di Palermo è il “Liber de regno Siciliae” di Ugone Falcando, datato al 1154: qui si parla di un “Mastio” turriforme (Torre Mastra), separato dalla citta da una vasta spianata, di un impianto planimetrico a forma di quadrilatero con ampi e profondi fossati e di stanze riservate all’alloggio per il castellano e la truppa. Accanto a questa costruzione di chiara funzione militare c’erano due chiese, quella di San Giovanni Battista, riedificata dai normanni su una moschea, e quella di San Pietro la Bagnara, che era rivolta verso la città.
Ingrandito, modificato, adeguato ai diversi momenti storici e all’evolversi dell’arte militare, il Castello a Mare ha visto nei secoli l’aggiunta di numerosi elementi architettonici, e ad oggi è parzialmente visitabile.
Villa Adriana
La magnificenza che trasmette oggi Villa Adriana a Tivoli è nulla rispetto a ciò che doveva essere duemila anni fa, quando fra il 118 e 138 d.C. fu realizzata su committenza dell’imperatore Adriano. I 40 ettari su cui si sviluppa il parco archeologico sono infatti solo un terzo dei 120 ettari iniziali, distribuiti su un pianoro tufaceo ai piedi dei Monti Tiburtini.
I lavori per la sua costruzione furono seguiti personalmente dall’imperatore, che fra le sue passioni aveva quella dell’architettura. Basti pensare che tre degli edifici più rappresentativi della Roma Antica furono voluti da lui: il Tempio di Venere e Roma eretto nel Foro, il Pantheon, rifacimento del precedente tempio costruito da Agrippa – ma da alcuni studiosi attribuito ad Apollodoro di Damasco, architetto ufficiale dell’imperatore Traiano – e Castel Sant’Angelo, destinato a tomba di Adriano ma poi riconvertito in fortezza dello Stato Pontificio.
Villa Adriana a Tivoli è, senza esagerazione alcuna, un capolavoro sotto ogni punto di vista: per la ricchezza della decorazione architettonica e scultorea – purtroppo in parte dispersa in varie collezioni private e musei di tutto il mondo in seguito alle sistematiche spoliazioni di marmi avvenute a partire dal Medioevo in poi – per la varietà di edifici e per le soluzioni architettoniche innovative per l’epoca e stupefacenti ancora adesso e per la vastità stessa del sito. Fra le particolarità da sottolineare c’è per esempio una rete viaria sotterranea carrabile e pedonale realizzata solo a scopo di servizio. E si aggiunga la spettacolarità di alcuni spazi, come per esempio le terme monumentali nelle dimensioni e la zona del Canopo e del Serapeo, specchio d’acqua contornato da statue e alberi maestosi.
In virtù di tutto ciò, dal 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, cui nel 2001 si è aggiunta Villa d’Este, sempre a Tivoli, che vanta anche altre memorabilia, come il Parco Villa Gregoriana, area naturalistica situata sull’antica acropoli romana.