Finale Ligure

L’Istituto Internazionale di Studi Liguri gestisce dal 1931 il Museo Archeologico del Finale, recentemente riallestito nei suggestivi ambienti del Complesso Monumentale di Santa Caterina in Finalborgo, in provincia di Savona. Oltre ai reperti archeologici rinvenuti nel savonese, il percorso espositivo è arricchito di ricostruzioni, diorami e ambientazioni scenografiche che consentono di ripercorrere il lungo passato di Finale e dintorni dalla Preistoria fino a oggi.

In un’ottica di maggiore coinvolgimento e di educazione, il museo è inoltre attrezzato con laboratori didattici di Archeologia Sperimentale che permettono a studenti di tutte le età di avvicinarsi a questo affascinante mestiere, mentre in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia della Liguria, ha messo a punto l’iniziativa “Archeotrekking Finale”, sviluppando una serie di itinerari e visite guidate a siti archeologici solitamente non accessibili.

Riviera dei Gelsomini

Gerace e il Medioevo. Un binomio che significa tutto, perché lungo le strade di questo piccolo centro di poco più di duemila abitanti in provincia di Reggio Calabria, annoverato fra i “Borghi più belli d’Italia”, è un continuum di monumenti e palazzi che con i loro impianti e dettagli architettonici riportano indietro nel tempo, passando dalla datazione incerta ma sicuramente di epoca normanna del Duomo, alias la Basilica concattedrale di Santa Maria Assunta, a quella di dimore nobiliari come Palazzo Grimaldi-Serra, Palazzo Candida e Palazzo De Balzo, in un excursus che va dal XII secolo in poi. Appena fuori l’abitato, nel quartiere denominato Castello – cui se ne aggiungono altri quattro, Città Alta, Borghetto, Borgo Maggiore e Piana – sono stati praticati scavi archeologici che fanno pensare a una prima costruzione del fortilizio nel VII secolo, seguita da modifiche apportate dai Normanni dopo il 1050, fino a crollare quasi del tutto a causa dei numerosi terremoti. Ciò che resta ha però mantenuto una sua dignità e imponenza, e dall’alto dei suoi 500 metri, la zona Castello è un belvedere naturale sulla costa ionica della Calabria.
Gerace, insomma, è una continua scoperta, che prosegue poi con gli itinerari escursionistici nel Parco Nazionale dell’Aspromonte in cui è immerso il borgo.

Area Grecanica

Il Museo e il Parco Archeologico “Archeoderi” di Bova Marina, località della costa ionica meridionale in provincia di Reggio Calabria, ricostruiscono una storia lunga più di duemila anni, influenzata da una parte dal potere dell’antica Rhegion, l’odierna Reggio Calabria, e dall’altra dalla “Bovesia” o “area grecanica”. La scoperta del sito archeologico risale agli anni Ottanta, quando per una casualità furono rinvenuti i resti di una sinagoga risalente al IV e VI secolo d.C. Un ritrovamento importante perché ha permesso di riportare alla luce l’unica testimonianza di una comunità ebraica in Calabria per quell’epoca, nonché la sinagoga più antica dell’Occidente dopo quella di Ostia Antica, oltre a un tesoretto di 3079 monete di bronzo oggi esposto fra i reperti più preziosi del Museo.

Dolomiti Friulane

Per approcciare nel modo più corretto la conoscenza del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane c’è il Centro visite di Frisanco, ricavato nello stabile dell’ex-caseificio di Poffabro. Quattro le sezioni: gli aspetti naturalistici del Parco, la Val Colvera, le malghe del Parco e il caseificio vero e proprio. Qui, si dà particolare rilievo all’attività della Società Latteria Sociale Turnaria di Poffabro-Casasola, durata una trentina di anni, fra il 1932 e la seconda metà degli anni ’60.

Di tutt’altro genere la storia e soprattutto lo stile di Palazzo Mocenigo – Centi, a Barcis, la cui architettura rivela chiare influenze veneziane, in un felice accostamento agli elementi tipici dello stile rustico della Valcellina, vedi il doppio loggiato della facciata, con un arco ribassato nel piano terra e uno a tutto sesto nel piano superiore. Semplicità e struttura, tono rustico ed eleganza tutto in uno.

Si torna in una realtà totalmente contadina a Claut, durante la visita del Museo della casa clautana: aperto al pubblico nel 1990, illustra tutte le sfumature della figura della donna clautana e per estensione valcellinese, intenta ai lavori di casa, dei campi, della stalla e come venditrice ambulante di utensili di legno. Ma Claut si è anche conquistata un posto d’onore nei libri di paleontologia, grazie al ritrovamento casuale di una serie di impronte fossili di un dinosauro. Era il 1994, e quelle tracce impresse su un masso di Dolomia Principale, formazione rocciosa depositatasi nel triassico superiore, risultarono essere datate a più di duecento milioni di anni fa.

Di rocce, ma di ben altra natura e per altre ragioni, si parla anche nel piccolo borgo di Erto, al centro della tragica vicenda della diga del Vajont. Nella notte del 9 ottobre 1963, una gigantesca frana si staccò dal Monte Toc precipitando nel bacino della diga, che con la sua struttura ad arco alta 265 metri era la più imponente al mondo nel suo genere. L’onda d’urto causò la fuoriuscita di una spaventosa massa d’acqua e la conseguente distruzione dei paesi a valle, senza però infrangere la struttura della diga stessa. Il Centro visite è diviso in due sezioni: “Vajont Immagini e memorie”, con foto d’epoca sugli usi e costumi della gente del Vajont prima del tragico evento; e “Uno spazio della memoria”, incentrata sulla progettazione del bacino idroelettrico del “grande Vajont” fino al processo conseguente la tragedia.

Si viaggia indietro nel tempo nel Museo Archeologico di Montereale Valcellina, allestito all’interno del complesso edilizio del seicentesco Palazzo Toffoli, grazie a una ricca raccolta di reperti datati dal XIV secolo a.C. in poi, dalla Protostoria al Medioevo. Nella vicina Centrale idroelettrica A. Pitter di Malnisio si passa al capitolo dell’archeologia industriale, ripercorrendo quasi un secolo di diffusione dell’energia elettrica, da quella prima accensione in Piazza San Marco a Venezia, nel 1905, fino al 1988, anno in cui la centrale chiuse i battenti.

A Tramonti di Sopra e Forni di Sopra, in provincia di Pordenone, il focus si sposta invece sul tema fortilizi e castelli antichi. In particolare, a Tramonti si può ammirare uno dei primi esempi di struttura fortificata della Regione, risalente a prima dell’XI secolo, mentre a Forni si trovano i resti del Castello di Sacuidic, luogo legato a numerose leggende. Si dice infatti che il maniero, eretto alla fine del XII secolo, andò distrutto per volere di chi poi lo comprò, vale a dire i Savorgnani, una casata nobile del Friuli che voleva mettere fine alla zecca clandestina in attività al suo interno. Con la chiusura della zecca, il castello cadde sempre più in disuso fino a crollare quasi del tutto. A memoria di quel passato da fuori legge, rimangono i molti reperti delle campagne di scavo realizzate nel XX secolo, che hanno riportato alla luce lingotti e attrezzi di metallo per battere moneta.

Area dello Stretto e La Costa Viola

Alle spalle del Comune di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, si stende un uliveto, che nasconde i resti dell’antica città di Medma. L’intera area è ora Parco Archeologico e comprende il vicino Museo, dove sono ricostruiti alcuni degli ambienti più significativi rinvenuti durante le campagna di scavo, come per esempio tombe alla cappuccina e a vasca. Centinaia i reperti esposti nel percorso museale, fra vasi, statuette, busti, grandi maschere, armi in ferro ed elementi architettonici attribuibili ora ad abitazioni, ora a tombe.

Ciociaria

L’Acropoli megalitica di Alatri come le piramidi della piana di Giza. Può sembrare un paragone esagerato, ma sono numerosi gli archeo-astronomi che sostengono come le mura e le porte ciclopiche di accesso alla cittadina ciociara siano orientate astronomicamente verso il sorgere del sole al solstizio d’estate. Una teoria scientifica, o quasi, che trova riscontro nelle tradizioni popolari, secondo le quali il 21 giugno di ogni anno è consuetudine attendere l’alba sull’acropoli per essere testimoni dei natali dell’antica Aletrium. Fra leggenda e realtà, vero è che Alatri è solo uno degli esempi delle grandiose acropoli erette dai geniali architetti degli antichi Ernici e Volsci, popolazioni descritte da Virgilio come “civiltà di fieri combattenti e tiratori infallibili”. Un’affermazione in linea con quanto sostenne lo storico tedesco Ferdinand Gregorovius, rimasto più impressionato dalle mura di Alatri che dal Colosseo.

Ma la Storia volle che la capitale della confederazione delle città erniche fosse un’altra, la dives Anagni, cantata da Virgilio per la sua bellezza, arrivata a noi grazie alla maestosa cinta muraria – realizzata senza alcun tipo di legante fra i blocchi di travertino – che per secoli ha custodito il centro storico.

Una dinamica comune alla vicina Ferentino, che della sua romanità plurisecolare conserva il mercato, il criptoportico, il teatro e la Porta Sanguinaria, cosiddetta perché un tempo varcata dai condannati a morte e teatro di sanguinose battaglie.

Ben più protetta doveva essere l’antica Verulae, i cui resti sono visibili a tratti fra le vie e nei sotterranei della medievale Veroli. Di quest’epoca più recente rimangono i torrioni, mentre del Forum e delle mura degli Ernici solo alcune tracce davanti al Palazzo Comunale.

Tant’è, l’orgoglio di civitas erecta è ancora ben saldo, così come ad Arpino, “città’ dei Volsci, municipio dei Romani, patria di Marco Tullio Cicerone, principe dell’eloquenza, e di Caio Mario, sette volte console…”, fondata da Saturno che qui terminò i suoi giorni. Qualcosa di prodigioso dovevano trasmetterlo già all’epoca anche le mura e l’arco a sesto acuto in esse conservato, frutto di ingegno e capacità tecniche ancora oggi sorprendenti.

Infine, fra quelle che Virgilio definì le città più importanti del Lazio c’era Atina potens, la potente, la cui ricchezza era dovuta ai depositi di ferro e rame dei vicini Monti della Meta. Qui furono infatti forgiate per secoli armi, comprese quelle usate contro Enea giunto qui come profugo da Troia, appena prima che desse origine alla stirpe che portò alla nascita di Romolo e Remo e quindi di Roma.

Monti Lepini

La provincia di Latina e in particolare la zona dei Monti Lepini è un continuum di tracce di epoca romana. Manifestazioni talvolta da ricercare all’interno delle sale di un Museo Civico Archeologico, come per esempio quelli di Civita di Artena e di Segni, oppure fra gli edifici tutelati da aree archeologiche più o meno vaste e ben conservate. Si vedano per esempio, sempre a Segni, le mura poligonali, il foro, il tempio di Giunone Moneta, il piccolo ninfeo repubblicano, le statue di Augusto e Livia. O ancora, nei centri storici dei borghi della zona, come a Cori, dove ci si imbatte nei resti del Tempio di Castore e Polluce, del I secolo a.C., in quelli del Tempio di di Ercole, del IV-II secolo a.C., oggetto di studio nel ‘500 da parte dei fratelli Antonio il Giovane e Giovanni Battista da Sangallo, e nel ‘700 di Giovanni Battista Piranesi.

Di Setia, l’antica Sezze, si scopre tutto nel Museo Archeologico, dove il reperto da non perdere è sicuramente il mosaico di una domus urbana detto di Porta Romana, dai motivi geometrici policromi. L’arte di riusare elementi di edifici del passato era diffusa anche da queste parti, come si nota nella Collegiata di Santa Maria a Sermoneta, dove nel corso del Medioevo da un’ara pagana in marmo del II secolo d.C. fu ricavato un seggio. In località Mezzagosto si trovano invece i resti dell’antica Privernum, datati al II secolo a. C., che occupano un’area di circa 12 ettari fra costruzioni idrauliche, templi di età repubblicana, un teatro, abitazioni e tabernae. Nel Museo archeologico annesso al sito, da notare è un mosaico decorato con un motivo a cassettoni prospettici e con al centro un paesaggio raffigurante il Nilo, con la riva popolata da animali e figure umane.

In un rapido salto in avanti nei secoli, prendendo in esame i mille anni trascorsi fra il V e il XV secolo, si possono rilevare due fenomeni che in breve presero piede nella zona: da una parte la diffusione della fede cristiana e la conseguente costruzione di numerosi edifici di culto, e dall’altra la concentrazione di ricchezza e potere nelle mani di alcune casate aristocratiche, quali Annibaldi, Caetani, Conti da Ceccano, Conti di Segni, Conti d’Aquino, la cui memoria è oggi tramandata da castelli e palazzi e da una serie di figure di vescovi, cardinali e persino papi.

In quell’epoca, cuore della cristianità del territorio pontino-lepino divenne Terracina, sede vescovile già in epoca costantiniana, e del primo luogo di culto della comunità, l’attuale Cattedrale di S. Cesareo. A Segni, sotto la Cattedrale di San Pietro si nascondono i resti del più antico tempio pagano dell’acropoli. Attorno all’anno mille, l’espansione dell’abitato richiedette la costruzione del Palazzo Comunale e di una nuova cattedrale, in stile romanico, dedicata a Santa Maria. Prossimo alla chiesa, l’impianto urbanistico con strette vie e i palazzi rivelano l’origine medievale. Altra sede vescovile fu Sezze, a partire dall’VIII secolo, ma la Cattedrale di Santa Maria, datata al III secolo, presenta oggi le linee dell’architettura cistercense che gli furono date nel XIII secolo sul modello dell’abbazia di Fossanova.

Un legame con Fossanova lo si ritrova anche a Piperno: nella cattedrale consacrata da Lucio III nel 1183, dove sono evidenti gli influssi cistercensi risalenti al periodo compreso fra il XVI e il XVIII secolo, e all’interno della chiesa di San Benedetto, di proprietà dell’abbazia di Fossanova, dove molti affreschi attestano la devozione alla Vergine dei privernati.

Genova

Perdersi fra i carruggi del Centro Storico di Genova non è difficile. Anzi, è quasi una regola, perché in quell’intricato saliscendi di viuzze e vicoli che quasi all’improvviso si aprono su piazzette o spazi di più ampio respiro, sembra non esserci mai stata una pianificazione, un ordine prestabilito, ma che tutto sia governato dal caos. Ebbene, è proprio questa la bellezza di Genova, tutelata come Patrimonio dell’Umanità per questo suo essere così unica e per quel ricco lascito che la storia le ha concesso. Palazzo Ducale, la millenaria Cattedrale di San Lorenzo, le numerose Botteghe Storiche e il prezioso Sistema dei Palazzi dei Rolli che fa sfoggio del potere conquistato da nobili e mercanti nell’epoca d’oro della Repubblica Marinata, motore di quella “Superba” che dal 1099 al 1797 spadroneggiò nel Mediterraneo.

Ma se fin qui si parla al passato, giungendo sul porto si viene trasportati in un istante nel contemporaneo, se non nel futuro, grazie alle avveniristiche architetture immaginate da un genovese Doc, Renzo Piano, autore dei progetti dell’Acquario e di gran parte di ciò che gli ruota attorno. “Aggiornamenti di sistema” generati per lo più da eventi eccezionali come le Colombiadi del 1992, celebrative dei 500 anni dalla scoperta dell’America, e dal “ruolo” di Capitale della Cultura del 2004, che hanno dato nuova luce a “Zena”, senza intaccare quel fascino tutto da decifrare.

Alta Valle dell’Aniene

La storia tramanda che nel 1587 Sisto V fondò a Subiaco una cartiera, fornitrice dell’allora Stato Pontificio e destinata per lungo tempo a essere un punto di riferimento nel Centro Italia. Situato nel frosinate, nell’Alta Valle dell’Aniene, Subiaco presenta ancora oggi molte emergenze architettoniche e artistiche, in particolare nell’antico Borgo degli Opifici, fra Piazza Sant’Andrea e Piazza Benedetto Tozzi, come per esempio la Basilica e il Palazzo Comunale, e nel Borgo dei Cartai, zona dove si concentravano appunto le attività legate a questo antico mestiere. Per capirne di più, parte di questo quartiere è stato trasformato in Museo immersivo nonché in un polo produttivo, grazie anche alla ricostruzione dei macchinari di una cartiera dell’800 perfettamente funzionanti. Da visitare anche la Rocca Abbaziale, e nei dintorni il Monastero di San Benedetto, detto anche del Sacro Speco, e il Monastero di Santa Scolastica.

La Città dei Papi

Per arrivare direttamente nel cuore medievale di Viterbo, vale a dire Piazza San Lorenzo, serve l’ascensore. Si prende dal parcheggio Valle Faul e si arriva dlà dove inizia la sfilata di edifici storici: il Palazzo dei Papi, la Cattedrale di San Lorenzo con il Museo del Colle del Duomo, il Palazzetto di Valentino della Pagnotta, lo stupefacente Palazzo Farnese.
In Piazza della Morte c’è una delle fontane più belle e antiche, la Fontana della Morte, databile alla metà del 1200. Percorrendo Corso Italia, si arriva in Piazza Verdi, dove sorge il Teatro dell’Unione, punto di riferimento per salire verso il Santuario di Santa Rosa, patrona della città.

Su Piazza della Rocca affaccia invece il Museo Nazionale Etrusco – Rocca Albornoz,
tappa fissa per ammirare i molti reperti rinvenuti nei siti di San Giovenale e di Acquarossa, nel centro etrusco-romano di Ferento e in quello di Musarna. All’ultimo piano del museo sono esposti i corredi funerari dei più importanti centri dell’Etruria meridionale interna e nell’ultima sala un reperto tanto raro quanto bello, un’autentica biga etrusca.
Di ben altro genere sono i tesori conservati nel Museo del Colle del Duomo, inaugurato nell’anno giubilare del 2000 e al centro del nuovo polo monumentale che comprende la Cattedrale ed il Palazzo dei Papi. Le tre sezioni – archeologica, storico-artistica e di arte sacra – ne fanno una importante realtà culturale del capoluogo della Tuscia. Subito fuori le mura cittadine e nei pressi di Porta della Verità, c’è poi il Museo Civico di Viterbo, con una vasta raccolta di opere d’arte e reperti di grande valore, che spazia dalle ceramiche da farmacia dei secoli XVII e XVIII a collezioni di numismatica, da bozzetti seicenteschi del perduto ciclo pittorico della chiesa di Santa Rosa ai dipinti di pittori viterbesi del periodo compreso fra il 400 e 800, da iscrizioni antiche e medievali fino a pregevoli opere scultoree rinascimentali. Da non perdere il tesoretto papale cinquecentesco e il corredo di ceramiche da farmacia del XVIII secolo proveniente dall’Ospedale Grande degli Infermi.

Per rimanere in argomento, ospitato al piano terra del cinquecentesco Palazzo Brugiotti, splendido esempio di architettura post rinascimentale, c’è il Museo della Ceramica della Tuscia, con circa 200 reperti medioevali e rinascimentali, che provengono prevalentemente dall’area dell’Alto Lazio. Nel quartiere medievale di San Pellegrino, si trova invece il Muso del Sodalizio Facchini di Santa Rosa, che raccoglie e custodisce la storia dei Facchini e della Macchina di Santa Rosa. La prima “macchina”, di cui si può vedere anche il modellino originario, risale al 1690, cui sono seguite una serie di evoluzioni fino a quelle più recenti. Per comprendere davvero di cosa si tratta bisogna però trovarsi a Viterbo il 3 settembre, per assistere al Trasporto della Macchina di Santa Rosa: attualmente, raggiunge i 30 metri di altezza per un peso di oltre 50 quintali, e nonostante questo ingente “fardello” viene portata a spalla per le strette e ripide vie del centro storico da poco più di 100 uomini, detti “Facchini di Santa Rosa”. Dal 2013 la Macchina di Santa Rosa è stata riconosciuta dall’Unesco Patrimonio Immateriale dell’Umanità.

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