I Borghi del Veneto

Il comprensorio dei 14 borghi veneti presentano una vasta proposta enogastronomica di qualità legata alle tradizioni e ricca di certificazioni che rendono il territorio ricco e variegato. Tutti i borghi hanno un PIT informativo dov’è possibile, spesso tramite i Municipi di interesse, organizzare percorsi enogastronomici.

Sono diversi i comuni che presentano strade enogastronomiche di pregio: Soave, Isola della Scala, Marostica, Portobuffolè, MEL, Follina. Oltre al comparto vitivinicolo ci sono percorsi legati a prodotti tipici tradizionali: Olio Dop, riso, prodotti da forno, prosciutti e formaggi.

Da evidenziare che il borgo di Follina rientra nel patrimonio Unesco enogastronomico denominato “Le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene”.

Il Cammino di Sant’Agostino

Il Cammino di Sant’Agostino offre un’esperienza culinaria variegata, permettendo ai viaggiatori di assaporare i piatti tipici della tradizione lombarda lungo il percorso. Dalla cucina genuina della Brianza, caratterizzata dalla semplicità e dall’uso di ingredienti locali, al territorio comasco, dove il pesce del lago, la polenta e i formaggi sono protagonisti. La cucina lecchese riflette l’influenza di diverse culture, offrendo piatti che combinano sapori lacustri, montani e pianeggianti. Nella zona brianzola, i piatti tradizionali come la rustisciada e il coniglio alla brianzola sono molto apprezzati, insieme alla polenta e uccelli e ai prodotti della salumeria locale. Nei territori montuosi, la polenta gialla è accompagnata da selvaggina o formaggi locali, mentre tra i dolci spiccano la miascia e i caviadini. Milano, infine, fonde tradizione e innovazione culinaria, con piatti iconici come il risotto alla milanese e la cassoeula, oltre a minestre ricche di verdure.

La Via Postumia

Il territorio offre una vasta gamma di prodotti e piatti tradizionali, permettendo ai visitatori di scoprire e assaporare autentiche delizie culinarie locali. Nel cremonese, ad esempio, i marubini sono da non perdere: pasta ripiena di carne di manzo marinata con verdure o vino rosso, arricchita con carne di vitello arrostita e profumata con salvia o rosmarino. I tortelli cremaschi, invece, offrono un equilibrio perfetto tra il dolce-speziato del ripieno e il salato della pasta e del condimento. Tra le specialità, il gran bollito e il salame Cremona IGP, dal sapore aromatico e speziato, sono da assaggiare, così come i formaggi tipici locali come il quartirolo lombardo DOP, il provolone valpadana DOP e il grana padano DOP. Per i golosi, il torrone è una prelibatezza imperdibile, con una storia che risale al 1441.

Anche nella cucina mantovana si trovano prodotti e piatti caratteristici, come i tortelli di zucca conditi con mostarda, gli agnolini, il tortello amaro e altri. Le specialità locali come la Coppa DOP, il Salame Mantovano DOP e il Cotechino Vaniglia sono da gustare accompagnati da un ottimo vino rosso, che beneficia delle condizioni favorevoli del terreno e del clima della regione.

Pavia è rinomata per la produzione di riso, in particolare il Carnaroli, e offre una vasta selezione di vini locali come la Bonarda, il Barbera, il Riesling profumato, il Moscato, la Malvasia, il Cabernet e il Pinot Nero. Da abbinare ai vini, ci sono i salumi tipici come il salame di Varzi D.O.P. e i formaggi locali come la crescenza e il gorgonzola DOP. Tra le altre prelibatezze, i visitatori possono gustare le rane fritte e i ciccioli, bocconcini fritti di carne di maiale e grasso, e dolci come i Baci del Signore e il Pane di San Siro.

La Spezia

Parla il linguaggio dei marinai la cultura gastronomica spezzina. Nei menu locali, ma soprattutto nelle case di La Spezia e dintorni, il pesce la fa da padrone, nelle sue forme più semplici e spartane che vedono acciughe e muscoli onnipresenti, preparati in vario modo: acciughe sotto sale, ripiene, marinate e fritte, e muscoli ripieni, pasta con i muscoli, muscoli alla marinara.

Fra gli ingredienti molto amati c’è anche il polpo, la cui ricetta alla marinara cambia a seconda di chi ci mette mano. Ricche le frittelle di baccalà, presenti tutto l’anno, mentre la stagione ideale per la Mescciùa è l’inverno. Si tratta di una zuppa a base di ceci, fagioli cannellini, lenticchie e grano farro, condita con olio d’oliva e pepe nero.

Sulle sue origini gira anche una leggenda: pare che sia nata letteralmente sulle banchine del porto, dove le donne spezzine raccoglievano le granaglie fuoriuscite dai sacchi durante le operazioni di carico e scarico dei mercantili. Vero o no, di certo è un piatto “povero”, ma ricchissimo di gusto, proteico e salutare come solo i piatti della tradizione sanno essere.

Orvietano

Le principali cantine vitivinicole della zona di Orvieto sono un retaggio di un’epoca antichissima, perché sfruttano spazi sotterranei scavati nel tufo addirittura dagli Etruschi, e poi usati dai Romani per il periodo di fermentazione. I primi a esportare extra confine il vino di Orvieto furono proprio i Romani: grazie a loro, anche nelle Gallie era giunta la fama di questa terra florida e perfetta per produrre vino di qualità, apprezzato nei secoli anche dai Papi, vedi Papa Paolo III Farnese e Gregorio XVI, che pare abbia addirittura voluto che il suo corpo fosse lavato con questo vino prima di essere inumato. Ad oggi, sono ben 11 le DOC, 2 le DOCG e 6 le etichette IGT, da scoprire lungo quattro Strade del Vino, dette del Cantico, Etrusco Romano, del Sagrantino e dei Colli del Trasimeno. Qualche numero può sintetizzare la forza straordinaria di questo settore sempre più trainante dell’economia locale: con una superficie vitata pari a 17.000 ettari, di cui il 30% in montagna e il restante 70% in collina, l’Umbria ha decisamente un elevato rapporto fra superficie coltivata a vite e disponibile, la maggior parte della quale produce appunto Orvieto Doc, con vigneti che si distribuiscono su entrambi i lati del Paglia, il fiume che scorre attraverso la città di Orvieto fino a confluire nel Tevere.

Ternano-Narnese

Non c’è Natale senza il Pampepato. A Terni e dintorni è così, e da oltre 500 anni, secondo alcuni addirittura dai tempi dei Romani. Al di là della reale datazione storica, a Terni come ad Aquasparta, Ferentillo, Calvi dell’Umbria, Narni e a Monteleone di Orvieto, di questo tipico dolce delle Feste si tramanda di secolo in secolo la ricetta, ricchissima con i suoi 16 ingredienti tra cui non mancano mai abbondanti noci, mandorle, pinoli, cioccolato, canditi, e, ovviamente, pepe in quantità. Inserito nei ricettari regionali già dal XIX secolo, inizia ad acquisire lustro “solo” nel 1913, grazie all’impegno di un celebre pasticcere, Spartaco Pazzaglia, che iniziò a proporlo tutto l’anno nel suo “salotto buono” in centro a Terni. Ad oggi, il Pampepato di Terni è insignito del marchio IGP, che ne sottolinea l’importanza nel patrimonio gastronomico ma anche culturale del territorio umbro.

I Giganti della Valle d’Aosta: I 4000 metri della Valle d’Aosta

Un tagliere con salumi e formaggi accompagnato da un buon bicchiere di vino. Sapori semplici e genuini quelli della Valle d’Aosta, che racchiudono in sé tutta l’esperienza e la conoscenza di chi sa mettere a frutto un territorio non facile come quello alpino. Prodotti DOP, come la Fontina, il Valle d’Aosta Fromadzo, il Jambon de Bosses e il Vallée d’Aoste Lard d’Arnad, oltre a nettari derivati da vitigni autoctoni, alcuni dei quali unici nel panorama mondiale, espressione di un mestiere eroico, per le modalità di realizzazione e per le oggettive difficoltà nel portarlo a compimento.

E allora ecco il DOC “Valle d’Aosta” o “Vallée d’Aoste”, che dal 1985 racchiude tutte le produzioni ottenute sul territorio e che oggi è rappresentata da 7 sotto-denominazioni di zona (il Blanc de Morgex et de la Salle, l’Enfer d’Arvier, il Torrette, il Nus, il Chambave, l’Arnad-Montjovet e il Donnas), e da 19 di vitigno (Chardonnay, Cornalin, Fumin, Gamay, Mayolet, Merlot, Müller Thurgau, Nebbiolo, Petite Arvine, Petit Rouge, Pinot Blanc, Pinot Gris, Pinot Noir, Prëmetta, Syrah, Vuillermin, Moscato bianco, Traminer aromatico e Gamaret).

A valorizzare il territorio, la cultura rurale e il lavoro degli agricoltori ci pensano anche più di 30 Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) riconosciuti dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, emblema di quella fierezza che contraddistingue le genti locali.

Irpinia

Il suo nome è Irpinia Express, ma localmente lo chiamano anche il “treno delle tre DOCG”. Un modo inconsueto per viaggiare ma che permette di sintonizzarsi subito sul “canale” dello slow travel, utile per assaporare quanto ci attende nelle varie stazioni. Mentre procede, il treno si fa largo fra valli e colline ammantate di vigneti e oliveti, colture cui la zona è particolarmente vocata. La produzione di quest’ultima, per esempio, si concentra a Frigento, originando uno straordinario olio extravergine d’oliva DOP, denominato Irpinia – Colline dell’Ufita.

In alternativa al treno si può percorrere la “Strada dei vini e dei sapori di Irpinia”, che comprende tre distinti percorsi, uno per ciascuna delle tre DOCG. Quella del Taurasi ha il fascino di paesaggi montani coperti da boschi di querce e faggi. Quella del Fiano di Avellino tocca antichi manieri e luoghi di fede, come l’Abbazia di Loreto e il Santuario di Montevergine, entrambi a Mercogliano, mentre quella del Greco di Tufo porta alla scoperta delle origini di questo particolare nome, facendo tappa in miniere di zolfo e cave di tufo, e poi ancora nei centri medievali di Montefusco e di Tufo.

Il Taurasi, il re dei rossi campani, è prodotto in 17 comuni situati a un’altezza compresa fra 400 e 700 metri di quota, e per l’85% da vitigno Aglianico e invecchiato tre anni in botti di rovere. Il Fiano di Avellino ne comprende 26 di comuni, tra la Valle del Calore, la Valle del Sabato, le falde del Monte Partenio e le colline del Vallo di Lauro. Il suo nome deriva dal vitigno, l’antica Vitis Apiana, detta così perché con la dolcezza delle sue uve attira le api. Già apprezzato ai tempi di Federico II di Svevia e prima ancora dagli imperatori romani, il Fiano si colloca oggi fra i migliori bianchi d’Italia. La terza DOCG è quella del Greco di Tufo, bianco emblema del grande contributo che questo territorio ha dato al patrimonio vinicolo italiano. Deve probabilmente il suo nome all’origine del vitigno, importato dai Greci attorno all’VIII secolo a.C. Coltivato su terreni generalmente argillosi e ricchi di potassio e magnesio, ha un sapore fresco e minerale, ed è proposto anche spumantizzato.

Il Consorzio tutela vini d’Irpinia conta circa 500 produttori di uve e aziende vitivinicole, e rappresenta il 75% dei vini prodotti e certificati DOCG. Fra le sue attività c’è Ciak Irpinia, evento che si tiene annualmente ad Atripalda per promuovere la conoscenza di quelle che sono considerate a tutti gli effetti tre eccellenze del Sud. Nel borgo di Taurasi, in estate si svolge invece l’annuale Fiera Enologica, che si articola in cinque serate dedicate a musica, spettacolo, degustazioni, convegni, mostre, artigianato locale e visite ad aziende vitivinicole e cantine.
Un mix di tutto questo e in forma permanente lo offre il MAVV, il Museo Dell’Arte, Del Vivo e Della Vite, noto anche come Wine Art Museum, con sede nella Reggia di Portici, in provincia di Napoli. Da qui sono coordinate una serie di attività realizzate in loco e in collaborazione con alcune aziende irpine, fra cui le Tenute Cavalier Pepe. Fra le più proattive e indipendenti anche nel promuovere il territorio ci sono poi la Tenuta del Meriggio e Feudi di San Gregorio.

Come si diceva, in Irpinia, itinerari naturalistici e religiosi trovano spesso una sovrapposizione con percorsi di tutt’altro genere, legati ai molti prodotti di cui questo territorio è generoso. Ospedaletto d’Alpinolo, per esempio, punto di partenza per l’escursione che conduce fino al Santuario di Montevergine e da qui ai trekking nel Parco Naturale del Partenio, è celebre anche per la produzione di torrone e ”castagne del prete”, così chiamate proprio perché fu un frate a scoprire il particolare processo di cottura che ancora oggi viene usato anche su scala industriale. Un accorgimento tecnico, per così dire, che conferisce al prodotto finale un sapore speciale, unico, che c’è solo a Ospedaletto. Alla sapienza dei Padri Benedettini di Montevergine si deve invece la produzione di ottimi liquori e prodotti erboristici dalle proprietà curative.
Avella è invece legata alla coltivazione della nocciola, orgoglio del piccolo Comune che ancora oggi vede il proprio nome legato a questo frutto tradotto in varie lingue: in catalano e spagnolo è avellana, in portoghese avela e in occitano avelana. La nocciola è una delle prelibatezze attorno alla quale sono stati creati cinque Tour di Degustazioni, con visite alle aziende locali alternate a quelle ai siti archeologi e monumenti di maggior interesse.

Strade del Vino, dell’Olio e dei Sapori di Toscana

La Toscana e il vino, una storia che va avanti e si evolve da più di 2.500 anni, da quando cioè gli Etruschi iniziarono a plasmare il paesaggio con filari di viti, come accadde in realtà anche in molte altre Regioni d’Italia. Ma è qui che la sua produzione e il suo commercio iniziarono ad acquisire un valore tale per cui nel 1282 veniva fondata la corporazione dell’Arte dei Vinattieri, e già nel 1300 nasceva la “Lega del Chianti”, identificata con il marchio del “Gallo Nero”. Lo stesso che ancora oggi campeggia sulle bottiglie prodotte in un’area però ben più vasta di quella iniziale. Se infatti in principio erano tre i comuni in cui si faceva – Radda, Castellina e Gaiole – oggi il territorio comprende Castelnuovo Berardenga e Poggibonsi in provincia di Siena, San Casciano Val di Pesa, Tavarnelle Val di Pesa, Greve in Chianti e parte del comune di Barberino Val d’Elsa in provincia di Firenze. Dal punto di vista geografico, è compreso tra le province di Firenze, Arezzo e Siena, per cui si sente parlare anche di Chianti dei Colli Fiorentini, dei Colli Senesi o dei Colli Aretini detto anche di Montespertoli.

Oltre al Chianti, la Toscana su una superficie di 58.000 ettari di cui il 67% in collina e il 25% in montagna – produce numerosi altri vini, per l’85% rossi e rosati, e il restante 15% bianchi, che in tutto si sono guadagnati sul campo 11 DOCG, 41 DOC (pari al 69% della produzione complessiva) e 6 IGT.

Sulle tavole toscane arrivano però numerosi altri prodotti tipici, in grado di colmare una straordinaria dispensa: il pregiato tartufo bianco di San Miniato, la fiorentina della Val di Chiana, il pecorino, il farro della Garfagnana, il lampredotto, la trippa, il salame toscano, la finocchiona, il panforte, i cantucci, i ricciarelli, la schiacciata fiorentina, i cenci, il lardo di Colonnata e l’immancabile olio extra vergine.

Borghi più belli della Basilicata

La tavola lucana ha molte similitudini con quella di Puglia e Calabria. Vanta però un’originalità e un primato: l’invenzione della lucanica, salame speziato già noto ai Romani. Quando si uccide il maiale, rito antico che ancora oggi fa accantonare un po’ ogni altra attività nel periodo fra novembre e dicembre, si festeggia con carne passata al tegame e peperoni in conserva. La sugna fresca è addizionata con peperoncino tritato, detto anche diavulacciu, e poi spalmata su fette di pane casereccio. A base di suino sono anche i sughi di accompagnamento agli strascinati, pasta fresca fatta in casa.

L’amore per la pasta fresca fatta con semola di grano duro è antica, come testimoniano i molti piatti a base di cavatelli, fusilli o ferretti, lavorati con un ferro lungo e sottile. Il pane, di grano duro e cotto nel forno a legna, supporta la minestra di fagioli e funghi cardoncelli, con cotenne di maiale e peperoncino. Fra le carni, vince di sicuro quella di agnello, che si prepara come spezzatino, cotto nel coccio con patate, alloro, peperoncino e cardoncelli. Anche capretto e mucca podolica sono carni spesso presenti in menu nelle case lucane, così come i formaggi di latte di pecora e capra. Vessillo dei prodotti caseari Made in Basilicata è sicuramente il pecorino di Moliterno, a latte misto, caprino e ovino, prodotto per lo più in Val d’Agri, nel Potentino.

Come in Calabria, qui si produce anche molta liquirizia, pianta spontanea che prospera lungo i corsi d’acqua, come accade presso i fiumi Bradano, Basento, Cavone, Agri e Sinni. Alcuni documenti attestano per esempio che i borghi di Bernalda, Tursi, Montalbano e Nova Siri già nel XVIII secolo avevano un ricco commercio di questa radice spontanea, oggi coltivata con successo. A condire ogni prelibatezza arriva poi l’olio extravergine locale, generato dagli oliveti più vecchi d’Italia, che annoverano ben 27 distinte varietà autoctone e attingono minerali importanti da un territorio per lo più di origine vulcanica. Godono di questa mineralità anche i vini autoctoni, fra cui spiccano l’Aglianico del Vulture DOC e il Superiore DOCG. Seguono poi altre tre DOC, il Grottino di Roccanova, il Matera e il Terre dell’Alta Val d’Agri cui si aggiunge il Basilicata IGT.

Skip to content