Campania Felix

Una cucina dalle infinite sfumature quella della Campania, aristocratica e gustosamente plebea, che intreccia mare e terra senza distinzione o prevalenza alcuna. Una cucina che si avvale di prodotti premiati con le classificazioni DOP e IGP, frutto di una campagna “felix” per via della fertilità generata da fenomeni vulcanici e affini.

Sulla pizza, alimento mitico e universale, si possono trovare molti degli ingredienti di eccellenza che la rendono un emblema di italianità, oltre che di regionalità: in primis, la Mozzarella di Bufala Campana, DOP come il Caciocavallo podolico dei Monti Alburni e il Provolone del Monaco della Penisola Sorrentina, tre dei numerosi gioielli di una produzione casearia ampia e di qualità. DOP sono anche varie tipologie di olio extravergine d’oliva, la Colatura di alici di Cetara e, complice la pummarolla, il Pomodoro di San Marzano e il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio, entrambi portabandiera di una ricca selezione di ortaggi e frutta di altissima qualità. Fra questi spiccano il carciofo di Paestum, le Olive di Gaeta DOP, il Fico bianco del Cilento DOP e il limone di Sorrento, con cui vengono prodotti oli essenziali, liquori e conserve.

Dopo la pizza, c’è la pasta secca, altro emblema della cucina di territorio, prodotta in centinaia di pastifici artigianali – assiepati in particolare nella zona di Gragnano, in provincia di Napoli – dove la trafilatura al bronzo, l’essiccazione lenta e a basse temperature sono ancora gli elementi cardine di una filiera controllata.

Fra i salumi, se il più comune è il salame di Napoli e il più sfizioso è il prosciutto di Pietraroja, quello più di nicchia è la salsiccia di polmone, detta anche polmonata, a base di carne di maiale nero casertano. Salumi che in genere ben si accompagnano a molti dei vini autoctoni, che negli ultimi anni hanno conquistato sempre più terreno – 24.000 gli ettari vitati – e sempre più “premi”, come certificato da ben 15 DOC (Ischia, Capri, Vesuvio, Cilento, Falerno del Massico, Castel San Lorenzo, Aversa, Penisola Sorrentina, Campi Flegrei, Costa d’Amalfi, Galluccio, Sannio, Irpinia, Casavecchia di Pontelatone, Falanghina del Sannio), 4 DOCG (Taurasi, Greco di Tufo, Fiano di Avellino e Aglianico del Taburno) e 10 IGP (Colli di Salerno, Dugenta, Epomeo, Paestum, Pompeiano, Roccamonfina, Beneventano, Terre del Volturno, Campania e Catalanesca del Monte Somma).

I borghi delle Marche

Fra i vini delle Marche vanno annoverate due autentiche e apprezzatissime rarità: il Verdicchio di Matelica, un bianco suadente dal gusto tendente all’amarognolo, e la frizzante, vellutata e amabile Vernaccia di Serrapetrona, spumante di color rubino, dal profumo di bacche rosse e spezie. Entrambi questi vini sono protagonisti di itinerari che puntano a far conoscere, oltre che il prodotto, il territorio con tutte le sue sfumature fatte di emergenze storico-artistiche: ecco dunque la Strada del Vino Verdicchio di Matelica e quella di Serrapetrona, che tappa dopo tappa portano a esplorare rispettivamente la zona collinare attorno a Jesi, in provincia di Ancona, e quella nei dintorni di San Severino Marche.

Ma la lista dei vini migliori Made in Marche non è finita: sono altri quattro gli itinerari enogastronomici legati ad altrettanti vitigni. C’è la Strada del Vino Doc Lacrima di Morro d’Alba, nell’anconetano, quella del Verdicchio dei Castelli di Jesi, nella Vallesina, che dall’entroterra di Ancona conduce sulla costa adriatica. E altre due sono quelle dedicate alla scoperta del Vino Rosso Piceno Superiore e del Rosso Conero, diffusi lungo la Riviera del Conero e in tre comuni più interni, Offagna, Castelfidardo e Osimo.

Borghi più belli d’Italia in Piemonte

Con un patrimonio di oltre 370 prodotti agroalimentari tradizionali, chi visita il Piemonte sa di poter attingere ogni giorno qualcosa di nuovo da questa incredibile dispensa di bontà, che trova il suo meglio in produzioni tipiche di particolare pregio: basti citare grandi vini rossi quali Barolo e Barbaresco, bianchi e spumanti dell’Astigiano, la Nocciola Tonda Gentile di Langa e il superbo Tartufo Bianco d’Alba.

Non è certo un caso che proprio in terra di Piemonte siano nati alcuni dei “movimenti” più importanti sui temi food&wine, sostenibilità e valorizzazione delle tipicità. Nel Castello di Pollenzo di Bra, in provincia di Cuneo, hanno sede la Banca del Vino e la prima Università di Scienze Gastronomiche – una sorta di ONU di studenti provenienti da oltre 60 Paesi – create a loro volta sulla scia del successo di Slow Food, l’associazione internazionale no profit per la promozione della cultura dell’enogastronomia di territorio. Fondata nel 1986 proprio a Bra da Carlo Petrini, da allora Slow Food ne ha fatta di strada: a oggi conta 70.000 soci sparsi in più di 150 Paesi e organizza una serie di importanti eventi sul tema, fra cui il biennale Salone del Gusto di Torino è quello di punta. Al Salone, nel tempo si sono aggiunti, fra gli altri, anche Slow Fish, Cheese, Master of Food, Slow Food Youth Network e Terra Madre. Dei 367 Presidi Slow Food in Italia, ben 37 sono radicati in Piemonte, vedi l’aglio storico di Caraglio, il burro a latte crudo dell’alto Elvo, il cavolfiore di Moncalieri e così via, fino alla tuma di pecora delle Langhe.

La ricca dispensa subalpina è dunque uno stimolo fondamentale al viaggio, una delle arterie lungo la quale ogni anno si spostano migliaia di turisti a caccia di prelibatezze, da gustare in osterie e agriturismi come in ristoranti stellati, dove chef di fama hanno saputo rielaborare tradizione e tecniche nuove. O da portare a casa insieme alla voglia di tornare in Piemonte per apprezzare ancora una volta la sua cultura del bien vivre.

Turismo dell’Olio

Ruspante e schietta, la cucina umbra affonda le radici nella cultura Etrusca e Romana, e può contare su prodotti generati da una terra fertile e da un clima mite: in primis, i suoi superbi tartufi, seguiti da pregiati legumi, caci e caciotte, salumi e insaccati da intenditori, e per innaffiare il tutto vini di qualità in quantità e un olio extra vergine d’oliva fra i migliori d’Italia, compreso in un’unica denominazione “Umbria DOP”.

Il tour dell’Umbria dai sapori nobili non può non prendere abbrivio che dal tartufo nero. Raccolto da marzo a novembre nelle terre che fiancheggiano il corso del fiume Nera e nei boschi fra Spoleto e Norcia, si gusta grattugiato, con acciughe, olio e prezzemolo, nonché come base della salsa per gli spaghetti alla Nursina, o con la trota, o ancora tagliato in sottili scaglie con uova al tegamino o sotto forma di frittata. Il tubero più ricercato comprende anche lo scorzone e il raro tartufo bianco tipico dell’alta valle del Tevere, tra Orvieto e Gubbio. Norcia, che deve il nome alla dea etrusca della fortuna, Nortia, è anche la perla del Parco Nazionale dei Monti Sibillini ma soprattutto la patria di straordinari salumi, tanto da dare il suo nome all’arte di confezionarli, la norcineria.

Tra i cereali primeggia il farro di Monteleone protagonista della zuppa di San Nicola, con cipolla e sedano, olio e pecorino. Dalla Piana di Castelluccio di Norcia provengono le celebri lenticchie, da gustare in purea o da fare in minestra di riso con un battuto di lardo, mentre dal Lago del Trasimeno giunge la Fagiolina, Presidio Slow Food che si consuma cotta e condita con un filo d’olio a crudo. Ventresca e guanciale di maiale prendono il posto dell’olio in molti piatti, come gli spaghetti col rancetto, salsa di pomodoro, cipolla, guanciale e maggiorana. Dalle zone lacustri si attinge la materia prima per piatti a base di pesce. Si pescano la tinca, il persico reale, il luccio, l’anguilla e il latterino. La carpa regina, ottima cucinata in porchetta, è il pesce più conosciuto e consumato nel Trasimeno e le sue uova pregiate vengono utilizzate per le zuppe. Fra queste, squisito è il “tegamaccio”.

Le carni bovine, ovine e suine – un tempo cotte alla brace nei grandi camini dei castelli che dall’alto di promontori rocciosi dominano le verdi vallate umbre – sono destinate per la maggior parte alla graticola o allo spiedo, dove di solito gira l’agnello, tagliato a tocchi e steccato con grasso di prosciutto, aglio e rosmarino. Marzo è tempo di palombacci, piccioni selvatici che a Foligno e Todi sono cotti nei tegami di coccio o gustati “alla ghiotta”, aromatizzati con chiodi di garofano, vino, aglio e olive nere. Protagonista di molte sagre è la torta al testo, o crescia, di pasta non lievitata e cucinata sul testo, il tradizionale disco di pietra arroventato. Crescia da accompagnare con salsicce, rucola e prosciutto di Norcia.

E poi…poi ci sono i vini, già decantati da Plinio il Vecchio e Marziale, e che oggi possono vantare ben 11 DOC, 2 DOCG e 6 IGT, da scoprire lungo quattro Strade del Vino, dette del Cantico, Etrusco Romano, del Sagrantino e dei Colli del Trasimeno. Qualche numero può sintetizzare la forza straordinaria di questo settore sempre più trainante dell’economia locale: con una superficie vitata pari a 17.000 ettari, di cui il 30% in montagna e il restante 70% in collina, l’Umbria ha decisamente un elevato rapporto fra superficie coltivata a vite e disponibile. Ed entrando nello specifico, produce per il 53% vini rossi e rosati, e per il 47% bianchi, di cui 45% DOP e 44% IGP. La prima DOC, quella del Torgiano, risale al 1968, cui sono seguite nel 1990 la DOCG del Torgiano Rosso Riserva e nel 1992 quella del Montefalco Sagrantino.

Dulcis in fundo, non si può che chiudere con un rapido excursus di dessert tipici: la Ciaramicola, un ciambellone meringato e ricoperto di confettini tipico del periodo pasquale; il Torcolo di San Costanzo, dedicato al Santo Patrono di Perugia; le Pinoccate e il Torciglione preparati nel periodo natalizio; la Attorta o serpentone, un dolce di pasta sfoglia ripiena di mele, cacao e noci a forma di spirale, e la Crescionda, dolce dalla consistenza morbida costituito da tre strati, entrambi originari di Spoleto e dintorni; il Pampepato di Terni, dolce dalle origini antichissime, riccamente natalizio con i suoi 16 ingredienti, tra noci, mandorle, pinoli, cioccolato, canditi, sui quali spicca, ovviamente, il pepe.

Borghi più belli d’Abruzzo

Campo Imperatore, altopiano a 1800 metri nel cuore del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. È qui che a maggio, migliaia di pecore salgono al pascolo secondo l’antico rito della transumanza, per poi dare il via al processo di produzione del formaggio Canestrato di Castel del Monte. Il latte viene filtrato, riscaldato a 35-40°C per 15-25 minuti e addizionato con caglio naturale (ottenuto dallo stomaco di agnello), cotto a 40°-45°C per 15 minuti circa, e infine pressato nelle fiscelle e lasciato riposare al fresco nelle casere. Sempre sul Gran Sasso, fra i 600 e i 1400 metri di quota, dove il freddo e le quote elevate permettono di ottenere un risultato qualitativo eccellente, si coltivano la varietà di Grano solina dell’Appennino abruzzese e la squisita Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, mentre sull’Altopiano di Navelli si producono ceci di piccole dimensioni, nelle varietà bianca e rossa, ideali per zuppe e minestroni.

Con le essenze più tipiche di queste montagne e del massiccio del Sirente Velino, la santoreggia e la stregonia, si aromatizzano due mieli monofloreali. Dall’alta e media valle del Sangro e dell’Aventino, alle pendici orientali della Majella, proviene invece il salume tradizionale noto come salsicciotto frentano, insaccato di carne di maiale realizzato con tagli pregiati quali prosciutto, spalla, lombo e capocollo, con aggiunta di sale e pepe. A insaporire i piatti della tradizione locale ci sono infine tre olii extravergine d’oliva DOP, l’Aprutino Pescarese, il Pretuziano delle Colline Teramane e quello delle Colline Teatine, tutti molto fruttati e aromatici. Di olive sempre si tratta quando si parla di “intosso di Casoli”, trattate con il cosiddetto “sistema sivigliano”, che prevede la fermentazione lattica in una soluzione salina per una decina di giorni.

La Calabria dei Borghi

I nomi che identificano i principali piatti o prodotti calabresi suonano spesso criptici ai forestieri, celando tradizioni antiche e poliglotte. Greci, Romani, Normanni e Arabi oltre che nell’architettura hanno lasciato il segno anche a tavola, soprattutto nella cucina delle piane più prossime al mare. Richiama la francese andouille la ‘Nduja, salsiccia di carne, lardo, fegato e polmone di maiale, originaria di Spilinga e dei comuni limitrofi dell’altopiano del Monte Poro, area nota anche per la produzione di un Pecorino, detto appunto di Monte Poro o “casu”, ottimo al naturale o alla griglia o come condimento di piatti filanti. La devozione locale per il suino è testimoniata anche dalla Sopressata Dop e da un piatto tradizionale come il murseddo, striscioline di trippe, fegato di vitello e maiale con l’aggiunta di pomodoro e peperoncino, racchiuse nella pitta, disco di pasta di pane che richiama la greca pita. Carne di porco pure nelle opulente sagne chine, lasagne imbottite con macinato di maiale, piselli, cacio, funghi, carciofi e uova sode. Altrettanto iconica come la ‘Nduja è la Cipolla rossa di Tropea IGP, vessillo della zona di Vibo Valentia. Particolarmente utilizzata per la preparazione di insalate fresche, è impiegata anche come ingrediente base di specialità gastronomiche tra le più varie, quali conserve, condimenti, salse, paté e confetture, e persino un gelato a dir poco sui generis. Il dolce calabro per eccellenza è originario della stessa provincia: è il Tartufo di Pizzo, nato qui in virtù dell’usanza di utilizzare la neve delle Serre e della Sila per realizzare granite e sorbetti con le fragole di bosco locali, o con le mandorle e i limoni della vicina Sicilia.
Il borgo di Buonvicino, nel cosentino, è invece legato a un altro agrume, il cedro, mentre il Bergamotto di Reggio Calabria è una DOP che dà i suoi frutti anche con l’olio essenziale, utilizzato nella cosmetica e nella profumeria di lusso.

Quanto ai vini, rapidi passi da gigante sono stati fatti negli ultimi anni in fatto di qualità, permettendo alle aziende locali di arrivare alla classificazione di ben 8 Doc e 6 IGP. A fare da portabandiera dell’Enotria, “terra del vino” – così l’avevano ribattezzata i coloni greci – è oggi il Cirò Doc, prodotto a Cirò e Cirò Marina, nel crotonese, come rosso, rosato e bianco. Nella stessa provincia si coltivano altre due Doc, il Santa Anna di Isola di Capo Rizzuto e il Melissa, con blend di uve che comprendono Gaglioppo, Nocera, Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Malvasia nera, Malvasia bianca e Greco bianco.

Si va in provincia di Cosenza per degustare invece i Doc Savuto e Terre di Cosenza, dove sono state identificate sette sottozone, caratterizzate dalla produzione di vini particolarmente pregiati, quali Condoleo, Donnici, Esaro, Pollino, San Vito di Luzzi, Colline del Crati e Verbicaro. Nel catanzarese si beve invece con lo Scavigna Doc, bianco e rosso. Se la zona è quella di Reggio, si pasteggia con Bivongi e Greco di Bianco Doc. Gli IGP riportano invece i nomi di borghi come Scilla e Palizzi, di zone quali Locride, Costa Viola e Val di Neto e persino di un fiume, il Lipuda, IGP che nel suo Dna comprende un blend di Aglianico, Ansonica, Cabernet Franc, Greco Bianco e altri vitigni autoctoni e non.

Il Lazio e i luoghi della cultura monastica

Si chiamano Marroni Antrodocani e sono l’orgoglio di Antrodoco, paese in provincia di Rieti, e dei vicini Borgovelino, Castel S. Angelo e Micigliano. A importare la pianta nel Lazio, che qui attecchì dando origine a un importante indotto su tutto il territorio, fu la ricca famiglia dei feudatari Bandini di Toscana a cavallo fra il ‘500 e il ‘600.
La sua particolarità è di avere un frutto più grande e zuccherino rispetto alla castagna, più chiaro e striato e con una buccia interna molto sottile e facile da togliere. L’alto contenuto di idrati di carbonio ne fa inoltre un alimento prezioso, dal buon apporto energetico, oltre ad avere una concentrazione di vitamina “C” pari a quella di agrumi quali arancia e limone. Qualità uniche che hanno portato a due “marchi, nel 2017 la De.C.O., Denominazione Comunale d’Origine, e prima ancora lGP, l’Indicazione Geografica Protetta.
A portare avanti la tradizione del Marrone sono ancora oggi i castanicoltori di questi quattro borghi, che dal 1974 sono riuniti nella Cooperativa “Velinia” con sede a Borgovelino, mentre è ad Antrodoco che durante la Festa d’Autunno si possono gustare e acquistare insieme ad altre prelibatezze quali nocciole, noci e miele.

Partenio

Itinerari naturalistici e religiosi trovano in Irpinia una sovrapposizione con percorsi di tutt’altro genere, legati ai molti prodotti di cui questo territorio è generoso. Ospedaletto d’Alpinolo, per esempio, punto di partenza per l’escursione che conduce fino al Santuario di Montevergine e da qui ai trekking nel Parco Naturale del Partenio, è celebre anche per la produzione di torrone e ”castagne del prete”, così chiamate proprio perché fu un frate a scoprire il particolare processo di cottura che ancora oggi viene usato anche su scala industriale. Un accorgimento tecnico, per così dire, che conferisce al prodotto finale un sapore speciale, unico, che c’è solo a Ospedaletto. Alla sapienza dei Padri Benedettini di Montevergine si deve invece la produzione di ottimi liquori e prodotti erboristici dalle proprietà curative.

Avella è invece legata alla coltivazione della nocciola, orgoglio del piccolo Comune che ancora oggi vede il proprio nome legato a questo frutto tradotto in varie lingue: in catalano e spagnolo è avellana, in portoghese avela e in occitano avelana. La nocciola è una delle prelibatezze attorno alla quale sono stati creati cinque Tour di Degustazioni, con visite alle aziende locali alternate a quelle ai siti archeologi e monumenti di maggior interesse.

La Dieta Mediterranea

Il Cilento secondo solo alla provincia di Cuneo. Parliamo di numero di eccellenze del territorio e di prodotti diventati Presidio Slow Food e come tali vessillo di un’intera Regione. Ecco dunque l’Oliva salella ammaccata del Cilento, il Cece di Cicerale, le Alici di Menaica di Pollica e Pisciotta, il Cacioricotta del Cilento, il Carciofo Bianco di Auletta e di Pertosa, la Colatura di Alici di Cetara, il Fagiolo di Controne, la Soppressata di Gioi. Prodotti da gustare sul posto ma anche da portare a casa (o ordinare online, perché no, con spedizioni in giornata), e che spesso diventano nesso fra i visitatori e la gente del posto, grazie a sagre ed eventi che ruotano attorno alla loro bontà. Ne sono un esempio la Festa dei Ceci o Cilento Delizie a Cicerale.

Siena

Si inizia il pasto con i salumi a base di cinta senese e si termina con i Pan co’ Santi, i Ricciarelli e i Cantuccini. A Siena e provincia le leccornie non mancano, perché questa terra è generosa come poche quanto a prodotti e piatti della tradizione. Si prenda per esempio il vino: è in provincia di Siena Montalcino, patria del celebre Brunello, e questo già basterebbe per farne una capitale del buon mangiare e bere. Rosso Doc e Brunello Docg accompagnano dunque crostini di milza, pici col ragù di cinta, zuppa di fagioli, pappardelle con la lepre, bistecche di Chianina, mentre il Vin Santo si abbina ai molti dolci locali, fra cui, oltre a quelli già detti, non mancano mai il Panforte e i Cavallucci.

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