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Bastano poche bracciate a nuoto, o in alternativa pochi minuti di barca per circumnavigare l’Isola di Dino, quel lembo di roccia rivestito di macchia mediterranea adagiato di fronte all’abitato di Praia a Mare in Calabria, più precisamente davanti a Capo dell’Arena a sud del paese. Pochi minuti per scoprire che in una superficie così piccola si concentrano tesori meravigliosi. Lì, a pelo d’acqua, ecco affiorare le imboccature di anfratti dai nomi molto più che evocativi: grotta del monaco, delle sardine, del frontone, delle cascate, del leone e persino grotta azzurra.
Partendo da quest’ultima, il riferimento alla più nota grotta caprese non è un caso, anzi. Anche qui, cullati dalle onde, si entra nel fianco dell’isola avvolti dai riflessi verde-blu dell’acqua, mentre in quella delle cascate si rimane ipnotizzati dallo scroscio costante dell’acqua che precipita in una piccola gola. In quella del leone ci si diverte a riconoscere la scultura “felina” plasmata dal mare, in quella delle sardine si inseguono i banchi di pesci che vi si affollano, in quella del frontone si ascoltano le leggende di naviganti che qui hanno trovato tempesta, e in quella del monaco l’eco di racconti di un passato lontano sull’isola rifugio di eremiti. Ad avallare questa tesi, una delle due ipotesi fatte sul tiponimo: Dino deriverebbe da “Aedina”, il tempio dedicato a Venere che un tempo sorgeva sull’isola, oppure dall’etimo greco “dina”, ovvero vortice, tempesta, per via del costante mare mosso alla punta sud del Frontone.
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