Bagnoli Irpino, 1959. Pier Paolo Pasolini e Camillo Marino fondano il primo festival dedicato al “cinema del reale” in Italia. Nasce l’evento che da lì a breve diventerà il Festival Internazionale del Film “Laceno d’Oro”, con un chiaro imprinting che mette al centro i problemi sociali, stimolando il dibattito e l’approfondimento, ma spesso rimanendo fuori dai circuiti della grande distribuzione.
Da allora, il festival prevede ogni anno a dicembre la proiezione di opere significative del cinema indipendente e di ricerca, oltre a una serie di iniziative collaterali in grado di attrarre un pubblico molto trasversale, per età e cultura.
Si viaggia indietro nel tempo, dalla preistoria all’età romana, visitando il Museo Archeologico Statale di Arcevia, borgo dell’anconetano con un territorio che numerose campagne di scavo hanno dimostrato essere stato abitato sin da epoche remote. Si va dai reperti dei siti paleolitici di Ponte di Pietra e Nidastore, del villaggio fortificato eneolitico di Conelle, degli insediamenti di Cava Giacometti, sfruttato dal Neolitico all’Età del bronzo, e di Monte Croce Guardia, quest’ultimo in particolare oggetto di scavi dell’università La Sapienza di Roma e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Marche.
Grazie proprio a quest’ultima, in collaborazione con il Comune di Arcevia, nel 1996 è stato possibile inaugurare il Museo Archeologico in una location di tutto rispetto, accanto al suggestivo Chiostro di San Francesco. Il percorso espositivo comprende anche i corredi di nove tombe della famosa necropoli gallica di Montefortino, ricchi di oreficerie, statuette votive, ceramiche e bronzi di origine etrusca..
Sono ben tre le esposizioni che compongono il Polo Museale di Cirò, attrazione culturale sui generis nel panorama turistico della provincia di Crotone. Questa la sequenza dei temi trattati: si comincia dalle sale dedicate a Luigi Lilio, con la riproduzione dei documenti che ricostruiscono la riforma del Calendario Gregoriano, affiancati da una mostra permanente multimediale incentrata sull’astronomia antica. Il percorso prosegue virando sul tema dell’alchimia e sulla figura di Giano Lacinio, alchimista francescano orgoglio di Cirò, dove nacque nel Cinquecento. Altra mostra permanente e altra virata varcando la soglia del Museo del Vino e della Società Contadina, dove macchinari d’epoca e beni e arredi della civiltà contadina raccontano di come si vinificava e si viveva un tempo nel territorio di Cirò.
Cirò è nota come la “Città del vino e del calendario” perché è “capitale” della zona d’origine della prima Dop calabrese – vale a dire del Cirò Dop – e perché diede i natali a Luigi Lilio, ideatore nel 1582 del calendario Gregoriano, che dopo 15 secoli sostituì quello promulgato nel 46 a.C. da Giulio Cesare. Cirò trova il suo centro nel Castello Carafa, posto nella parte alta del borgo antico. L’edificio, costruito fra il XIV e il XVI secolo, si evidenzia per la sua insolita pianta trapezoidale con torri circolati e un bastione pentagonale merlato, e per la corte interna la cui pavimentazione presenta un lastricato in pietra locale con un motivo a stella a nove punte circoscritto da un cerchio. Al piano superiore si sviluppano invece due appartamenti e altre stanze per la servitù.
Guardando la facciata della Chiesa di Santa Maria de Plateis di Cirò, in provincia di Crotone, si potrebbe pensare a un classico esempio di riuso di un edificio preesistente di origine greco-romana per via della presenza di quattro colonne corinzie. Invece, nulla di tutto ciò. Il principale edificio religioso di Cirò risale a epoca ben più tarda, al XIII-XIV secolo, a quando cioè i cittadini in fuga dalla Marina per via delle continue incursioni saracene, decisero di riparare più a monte, e qui si fermarono, costruendo la chiesa madre con uno stile composito. All’interno stupiscono il soffitto a cassettoni dipinto di azzurro e l’altare policromo, decorato da disegni floreali.
Senza la continua minaccia dei Saraceni, le coste della Calabria e del Sud Italia in generale sarebbero molto diverse, perché la loro frequenza determinò la nascita di fortilizi e costruzioni difensive un po’ ovunque che oggi costituiscono un elemento assai caratterizzante del paesaggio. Ne è un esempio la Torre Aragonese nei pressi del borgo di Melissa, nel crotonese, nota anche come Torre Melissa o Torrazzo, eretta nel XII secolo e caratterizzata da due dettagli architettonici che la rendono unica nel Mediterraneo: la struttura cilindrica troncoconica – con un diametro esterno di 26,50 metri contro i 10 della corte interna – e la raffinata decorazione merlata. La struttura imponente sembra più quella di un piccolo castello, tanto che nei secoli si è prestata a ospitare una residenza nobiliare, passata di mano in mano ai Signori locali. La torre è oggi ben conservata e ospita al suo interno il Museo della Civiltà Contadina. Una volta terminata questa full immersion nel passato, ci si può tuffare nelle acque azzurre della spiaggia sottostante, classificata Bandiera Blu come quella della vicina Cirò Marina, con cui condivide anche il territorio d’origine del vino Cirò Dop.
L’antico mestiere del vignaiolo, del pastore, dell’artigiano, della filandera, della tessitrice, della cuoca e della casalinga che si prendeva cura di figli, orto e mestieri. Il Museo della Civiltà Contadina ricavato all’interno della Torre Aragonese di Melissa, nota anche come Torrazzo o Torre Melissa, è un’occasione unica per fare una sorta di escursione nel tempo, alla scoperta di ritmi e usi della vita rurale di una volta. Una passeggiata lungo il bel litorale ai piedi del promontorio su cui sorge la fortificazione, datata al XIII-XIV secolo, è poi d’obbligo, così come una degustazione del vino locale Dop, il celebre bianco Cirò.
Impossibile non lasciare andare l’immaginazione a ciò che nell’antichità ha rappresentato lo Stretto di Messina e con esso le terre che si affacciano su questo breve tratto di mare chiuso fra costa calabra e sicula. Uno spazio-tempo in cui abitavano mostri marini sempre in agguato per catturare e distruggere navi e marinai, come per esempio era Skyla, Scilla, la “cagna” pronta a dilaniare, misterioso mostro responsabile di tempeste e innumerevoli naufragi insieme alla dirimpettaia Cariddi, colei che risucchiava nei vortici di acqua e vento. Leggende nate dalle condizioni atmosferiche generate dalle correnti rapide e irregolari che da sempre caratterizzano lo Stretto di Messina.
Scilla, arroccata su un promontorio che pare quasi un’isola, è oggi una rinomata località balneare, che fra le sue attrazioni ha proprio quella di offrire un magnifico Belvedere sullo Stretto. Si tratta di Piazza San Rocco, vasto terrazzamento costruito su un costone di roccia, e si affaccia a strapiombo su un panorama da cartolina.
“Ab Audentia”, letteralmente “con l’udito”, è il nome popolare con cui è nota la Chiesa di Santa Maria dell’Udienza di Melissa. A erigerla fu nella seconda metà del Seicento il nuovo principe di Strongoli Domenico Pignatelli, subentrato nel feudo del borgo dopo la morte del conte Francesco Campitelli. Sopra il portale d’ingresso, ancora oggi campeggia lo stemma della casata dei Pignatelli, che per lungo tempo mantennero lo ius patronato della chiesa. Al suo interno, si svela una ricca collezione di ornamenti e suppellettili sacre, dovuta soprattutto alla devozione dei fedeli, che venivano qui in pellegrinaggio confidando nella realizzazione di miracoli.
Se si considera il resto del borgo di Melissa, la Chiesa di San Francesco di Paola sembra quasi fuori contesto storico, perché ciò che si vede oggi risale “solo” all’Ottocento. In realtà, nello stesso sito sorgeva prima un altro edificio religioso, la Chiesa di Santa Maria dei Francesi, datata al 1690. Ciò che è oggi interessante al suo interno è la scultura del 185 d.C. raffigurante il Santo originario di Paola, realizzata in legno di carpino e custodita in una nicchia di vetro. Accanto, un’altra scultura, una statua della Madonna del Santissimo Rosario di Pompei, mentre nell’abside si può ammirare un mosaico di grandi dimensioni che rappresenta Gesù circondato dai discepoli.