Terme Romane di Forum Traiani

Fondorgianus, nell’oristanese, è il più importante sito archeologico termale di epoca romana della Sardegna. Ad attirare qui, sulla riva del fiume Tirso, lungo la costa occidentale dell’isola, i Romani e prima ancora le antiche popolazioni sarde prenuragiche furono le acque surgive benefiche che sgorgano a 54 gradi, come ricorda il toponimo locale Caddas (calde, appunto), definite in latino aquae ypsitanae. Fu lo stesso imperatore Traiano a ordinare la costruzione dello stabilimento ai margini del centro urbano di Forum Traiani, il grande mercato di scambio tra comunità della costa e del resto dell’isola. Il forum divenne così anche luogo di benessere e di aggregazione sociale. Ciò che rimane di quell’epoca d’oro è ancora qui da ammirare: un’architettura imponente, con porticato, sale e vasche che lasciano ben immaginare lo splendore “imperiale”.

Il tepidarium, al centro dell’impianto, aveva un tempo una volta a botte ed era circondato da porticati dove si sostava e riposava tra un bagno e l’altro. Ai lati, si trovavano le vasche di captazione e miscelazione e il Ninfeo, contornato da nicchie per l’esposizione di statue e cippi votivi, spazio sacro dedicato alle aquae calidae. Il circuito dei bagni caldi (calidaria) e il frigidarium con spogliatoi e spazi per il ristoro completavano il percorso.
Tanta ricchezza attirò anche un pubblico di personaggi abbienti, come testimoniano le molte strutture che nacquero attorno: abitazioni patrizie, “strutture ricettive” per visitatori, edifici pubblici civili e per i culti funerari. Oggi, gran parte di questi tesori giacciono ancora nel sottosuolo di Fordongianus, che in tanti punti del suo reticolato urbano mostra i segni delle antiche vestigia. La caduta dell’impero romano e la successiva costruzione di chiese, conventi e luoghi di culto nel Medioevo determinò l’abbandono delle Terme Romane di Forum Traiani.

Nelle vicinanze di Fordongianus c’è da visitare anche la Casa “Aragonese”, un edifico databile tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600, interessante frutto della sovrapposizione di elementi architettonici e decorativi “internazionali”, importanti nel periodo della dominazione spagnola, come per esempio il portico anteriore, che apre su tredici stanze distribuite in due unità abitative. Sul retro della Casa Aragonese si sviluppano invece l’orto-giardino, la stalla e un ambiente adibito a ricovero dei carri agricoli. La singolarità di questa struttura è dimostrata anche da un accadimento: nel 1911, in Piazza d’Armi a Roma, nell’ambito delle mostre di etnografia italiana organizzate in occasione del cinquantennio dell’Unità d’Italia, fu realizzata l’esatta riproduzione di questa abitazione, considerata un vero unicum in Sardegna.

Area Archeologica di Tharros

A Cabras, nell’oristanese, ci si va per praticare escursionismo naturalistico nel grande stagno dove stanzia una colonia di fenicotteri rosa, ma anche per ammirare uno dei rari siti archeologici affacciati sullo splendido mare della Sardegna. Fondata sulla penisola del Sinis nell’VIII secolo a.C. e abbandonata nell’XI d.C., Tharros è stata nei secoli insediamento nuragico, emporio fenicio, fortezza cartaginese, urbs romana, capoluogo bizantino e capitale arborense. Oggi è un’Area Archeologica di grande fascino, delimitata da un lato dall’istmo di Capo San Marco e dall’altra dai colli della borgata di San Giovanni di Sinis e di su Murru Mannu. Proprio sulla sommità del colle si trovano i resti più antichi, quelli del villaggio nuragico abbandonato già prima dell’arrivo dei fenici. Tracce di nuraghi sono state rinvenute anche sul promontorio di San Marco e nei pressi della Torre di San Giovanni, mentre risalgono all’età punica due necropoli e un tophet, santuario cimiteriale con resti di neonati e animali sacrificati. Se qui i corpi erano incinerati, con l’arrivo dei Cartaginesi si iniziò a praticare l’inumazione, come attestato da alcune sepolture a fossa e tombe ‘”a camera” segnalate da steli con immagini delle divinità Baal Hammon e Tanit. E proprio dalle necropoli derivano la maggior parte dei reperti, quali manufatti dei corredi funebri composti da ceramiche, gioielli, amuleti, scarabei.

Sulla collina di San Giovanni era collocato il quartiere di Tharros cosiddetto di Montiferru, dove si concentravano le botteghe di fabbri e da cui partivano le mura difensive della città fortificata. La città, prima di cadere sotto il dominio romano nel 238 a.C., mostrava numerosi edifici civili e sacri, e fra quest’ultimi c’è il “tempio delle semicolonne doriche”, in parte smantellato in età imperiale per lasciare spazio a un nuovo santuario. Del tempietto K, costituito da portico e altare con cornice a gola egizia, si notino i due blocchi con incise lettere semitiche provenienti da un precedente edificio punico, e di ciò che era un suggestivo tempio tetrastilo affacciato sul mare le uniche due colonne rimaste in piedi, frutto di un passato tentativo di ricostruzione. Il cattivo stato di conservazione di tutti questi monumenti si deve in particolare a un fattore: a un certo punto, divennero la “cava” cui attingere gli elementi e i materiali architettonici per la costruzione della Chiesa di Santa Giusta.

In età imperiale, l’urbs assunse la classica configurazione ortogonale dovuta alla centuriatio, con un articolato sistema fognario e con strade a perpendicolo lastricate e imperniate su cardo e decumano. Nel III d.C., Tharros si arricchì di un acquedotto, il castellum aquae, e di tre impianti termali a ridosso del mare, che nell’alto Medioevo furono utilizzati come sepolture bizantine. Anche le aree funerarie furono modificate secondo l’uso dell’Antica Roma: tombe “alla cappuccina”, inumazione in anfore, mausolei, sarcofagi e così via. I ricchi corredi funebri, così come quanto era rimasto a lungo a decoro dei monumenti, fu depredato prima dai saraceni e poi, dal XVII secolo, dai cercatori di tesori. Per fortuna, parte di questo ingente “bottino” è finito al British Museum di Londra, parte nei musei archeologici di Cabras e Cagliari e nell’Antiquarium arborense di Oristano. Dall’800 in poi sono stati realizzati scavi scientifici, tuttora in corso, che non hanno mai smesso di aprire nuove finestre sul passato lungo e ricco di questa città dalla mille vite e volti.

Parco Archeologico Naturalistico di Santa Cristina

Al km 115 della S.S.131 dell’oristanese, all’altezza di Paulilatino, si fa tappa al Parco Archeologico – Naturalistico di Santa Cristina, 14 ettari di olivi secolari e macchia mediterranea dove si scorgono il pozzo sacro di Santa Cristina, considerato uno dei più importanti monumenti del patrimonio archeologico religioso della Sardegna nuragica, un interessante villaggio nuragico con nuraghe monotorre datato al XVI sec. a.C. e un villaggio di epoca cristiana. La tecnica edilizia del tempio a pozzo risale al XII sec. a.C., e come tale è uno dei più straordinari esempi di opera architettonica di quel periodo, composto da un vestibolo (dromos), un vano scala e una camera ipogeica a “tholos”. Il tutto circoscritto da una cinta muraria perimetrale (themenos), lambita dai resti del villaggio, in cui si emergere la “capanna delle riunioni”, con un sedile in pietra dall’andamento circolare.

Di forma circolare è anche il nuraghe Santa Cristina, alto circa 6 metri e con un breve corridoio che introduce nella camera principale, anch’essa tonda, coperta da una falsa cupola (tholos) perfettamente conservata. Attorno al nuraghe si sviluppa un vasto villaggio, frutto di una serie di sovrapposizioni di epoche diverse: due le capanne principale, una lunga 14 metri, integra, l’altra priva della copertura. La visita del Parco Archeologico – Naturalistico di Paulilatino comprende il santuario cristiano che ospita la piccola chiesa campestre di Santa Cristina, voluta dai Camaldolesi in epoca medioevale, che trova nella seconda domenica di maggio e nella quarta domenica di ottobre i suoi due momenti clou: il primo vede svolgersi le celebrazioni per la festa in onore di Santa Cristina, il secondo quella in onore dell’Arcangelo Raffaele.

Nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu

Possedere un sito archeologico non è cosa comune, e ciò fa del Nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu un unicum assoluto, dell’oristanese e della Sardegna tutta. Parte del nuraghe è infatti stato donato allo Stato agli inizi del Novecento, ma parte è ancora di proprietà privata. Ancora, perché nella realtà il Comune di Villanova Truschedu sta ultimando le pratiche per acquisirlo e trasformarlo in un parco archeologico e naturalistico aperto al pubblico. Nel frattempo, non resta che ammirare ciò che è stato riportato alla luce dagli scavi eseguiti intorno al 1915 da Antonio Taramelli, e poi ripresi nel 1991-92 dalla Soprintendenza Archeologica per le province di Cagliari e Oristano. Risale invece al 2006 il cantiere sostenuto dal Comune di Villanova Truschedu per eseguire opere di sistemazione e valorizzazione. In particolare, con gli scavi degli anni Novanta sono stati recuperati numerosi reperti oggi conservati all’interno del complesso del nuraghe Losa di Abbasanta.

Una visita del sito permette di apprezzare la struttura complessa del nuraghe, composto da diverse strutture: un corpo principale, un cortile scoperto, una torre secondaria e una principale. Entrambe le torri presentano due camere circolari coperte con volte a cupola, e la più grande della torre maggiore, con un diametro di quasi 7 metri, è fra le più vaste della Sardegna. Il nuraghe Santa Barbara si trova al centro di un insediamento sorto in età nuragica e abitato fino al periodo altomedievale, come ricorda il nome stesso, allusivo della presenza di una chiesa di età bizantina o anche successiva. Fra la vegetazione selvaggia si può infine scorgere la traccia di un’imponente muraglia costruita con blocchi di grandi dimensioni, che un tempo difendeva l’intero abitato.

Parco Archeologico di Iloi

Ad appena 2 km dal borgo di Sedilo, nell’oristanese, si può visitare il Parco Archeologico di Iloi, posto su una collina di 270 metri di altezza che domina l’antica valle del fiume Tirso e il Lago Omodeo. Al centro del sito si erge il nuraghe complesso con tre torri e corpo trapezoidale, realizzato in più fasi, fino al Bronzo finale. Tutt’attorno si sviluppa l’abitato con numerose strutture circolari, alcune delle quali con funzione cultuale, e due Tombe di Giganti, con corpo centrale absidato, corridoio funerario coperto e prospetto a esedra.
A circa 300 metri dai resti nuragici, si possono riconoscere anche le tracce di 33 domus de janas, che formano la necropoli di Ispiluncas, scavata nel tufo nel Neolitico finale. Le domus sono in parte pluricellulari, in parte monocellulari: ne sono un esempio la “tomba 2”, articolata in 13 ambienti e con tracce di pittura rossa, segno di una certa cura estetica, e la “tomba 3”, con un ambiente centrale quadrangolare attorno al quale si dispongono i vani secondari. Entrambe le sepolture sono state impiegate fino all’alto Medioevo.

Il Parco di Iloi è solo una delle attrattive del borgo di Sedilo, al centro di un’area di grande interesse naturalistico: il Lago Omedeo è infatti meta ideale per escursioni di trekking e per la pratica della canoa. Non solo. Qui si trova anche il Santuario di San Costantino, che ogni anno a luglio fa da sfondo alla giostra equestre dell’Ardia, e che nel resto dell’anno, avvolto nel silenzio di una natura incontaminata, torna ad accogliere pellegrini nelle numerose cumbessias, gli alloggi destinati all’accoglienza.

Nuraghe Cuccurada

Mogoro è un borgo dell’oristanese noto per la produzione di ottimi vini e tessuti artigianali, oltre che per la natura rigogliosa e selvaggia che lo circonda. Qui, immerso nella macchia mediterranea si trova il Parco Archeologico di Cuccurada, arroccato sullo sperone roccioso noto come Sa Struvina: la vista spazia dalla valle del rio Mogoro al mare della Costa Verde, attraverso Campidano e i monti Arci, Arcuentu e Linas. Un panorama che apre il cuore e predispone alla scoperta delle vestigia antiche riportate alla luce grazie a una dozzina di campagne di scavo tuttora in corso: una muraglia megalitica, una struttura ciclopica a pianta ellittica, un nuraghe dalla struttura complessa e inconsueta e i resti di capanne nuragiche sovrapposte a un più antico insediamento eneolitico, risalente cioè alla seconda metà del III millennio a.C.. A fare di Cuccurada un sito “speciale” è proprio la sovrapposizione di varie culture in un lasso di tempo amplissimo che parte dalla cosiddetta cultura di San Michele di Ozieri, datata al Neolitico finale (3200-2800 a.C.).

Un cosiddetto protonuraghe del XX-XIV a.C., ossia l’edificio primitivo “a corridoio”, fa da base al nuraghe con la funzione di fortezza, inglobato poi in una sorta di bastione con quattro torri perimetrali, raccordate da mura rettilinee che chiudono un vasto cortile interno. Gli scavi effettuati nel cortine hanno svelato un unicum in tutta la Sardegna: la presenza di capanne all’interno delle mura, coeve di quelle extra perimetrali, risalenti forse al Bronzo finale, ma costruite su strutture precedenti utilizzando conci del nuraghe stesso. Risale invece alla fine del III millennio a.C. la poderosa muraglia megalitica che circonda tutto il sito. La visita del Parco Archeologico di Cuccurada trova la sua estensione nel Museo Archeologico di Cagliari, allestito nel seicentesco Convento del Carmine di Mogoro: qui sono infatti conservati i molti reperti rinvenuti durante gli scavi, quali
scodelle, ciotole e tegami, reperti litici, fusaiole per la filatura, e un piccolo ‘bottone’ in bronzo, raffigurante una dinamica scena di caccia.

Parco Archeologico di Suni

Il Nuraghe “Seneghe”, il Nuraghe complesso “Nuraddèo” e la necropoli ipogeica Domus de Janas “Chirisconis” costituiscono insieme il Parco Archeologico di Suni, dal 1998 punto di interesse dell’oristanese. L’area è parte di un Sistema Integrato Culturale (Progetto S.I.C.), in cui sono inserite anche la Casa della Tecnologia Contadina “Tiu Virgiliu”, e la zona umida “Pischina ‘e Paule”. Il nuraghe Seneghe si trova in posizione panoramica
sull’ampia valle di Modolo, nella regione della Planargia, nella Sardegna nord-occidentale, ed è un esempio perfettamente conservato di protonuraghe, con un corridoio da cui si dipartono tre nicchie, mentre grandi blocchi basaltici, privi di lavorazione, formano la torre alta oltre 6 metri.

Al centro dell’altopiano di Pedrasenta, sempre nella Planargia, sorge il nuraghe Nuraddeo, che presenta un mastio alto più di 14 metri circondato da un bastione di tre torri raccordate da cortine rettilinee, e cortile a cielo aperto a pianta pentagonale.

Infine, in posizione dominante sulla valle del Riu Mannu, in località “Badu ‘e crabolu”, c’è la necropoli a domus de janas “Chirisconis”. Scavato in un affioramento basaltico, il complesso ipogeico comprende 12 sepolture monocellulari e pluricellulari, con accesso quasi sempre costituito da un vestibolo.

Regione Nuragica del Medio Campidano

Barumini è di certo il sito nuragico più celebre della Sardegna, Patrimonio dell’Umanità che porta in alto l’orgoglio e il nome della provincia del Medio Campidano. Qui attorno se ne trovano però numerosi altri, che vale la pena conoscere e visitare. Nei pressi di Villanovaforru c’è per esempio il Complesso Nuragico di Genna Maria. Già il nome della località, che in sardo significa “Porta dei Mari”, richiama con ogni probabilità la posizione sopraelevata del sito, da cui nelle giornate terse si riesce a scorgere persino il Golfo di Cagliari. Il complesso presenta vari edifici, tra i quali un nuraghe trilobato e un villaggio nuragico, circondati da una cinta muraria più esterna.
Il sito di Villanovafranca si chiama invece Su Mulinu, e presenta diversi tipi di costruzioni realizzate attorno al XVIII secolo a.C., fra cui un cosiddetto corridoio nuragico, una serie di torri a falsa cupola e una vasca-altare in arenaria dell’VIII secolo a.C., usata per sacrifici animali, vegetali e per le offerte votive.

Sardara è forse il paese del Medio Campidano con la più alta concentrazione di nuraghe, ognuno con caratteristiche uniche. I quattro pozzi sacri nuragici dell’area archeologica di Santa Anastasia, di cui uno solo già scavato e riemerso dal suolo, costituiscono infatti l’unico sito di tutta la Sardegna all’interno di un centro abitato. Il primo pozzo sacro fu scavato nel 1913, ed era originariamente all’interno della Chiesa di Santa Anastasia, edificio che fra l’altro è fra i più antichi di tutta l’isola. Per rendere il pozzo accessibile dall’esterno fu realizzata un’opera non da poco per l’epoca: la facciata della chiesa fu smontata e spostata di qualche metro.
Sempre a Sardara, troviamo anche il Nuraghe Arrubiu, che si definisce di tipo monotorre: con una cinta muraria rinforzata di circa 80 centimetri e un’altezza di ben 4 metri, era la postazione di vedetta a metà strada tra il Nuraghe Fenu e i tre situati nella vicina zona termale.

Il piccolo borgo di Gesturi deve invece la sua fama al “Parco della Giara”, preziosa oasi naturalistica per la flora e la fauna locali, che comprende un branco di cavallini selvaggi. La visita ha però in serbo anche un risvolto archeologico, grazie alla presenza del Protonuraghe Brunku Madagui, un nuraghe a corridoio in cui si snodano delle nicchie interne.

Sardegna Nuragica

Secondo un’antica leggenda greca fu Dedalo, il più grande architetto del passato, a insegnare alle popolazioni sarde come costruire un nuraghe. Segno che anche i Greci si interrogarono su queste misteriose costruzioni, senza però arrivare a spiegare come edifici tanto imponenti potessero reggersi in piedi con la semplice sovrapposizione di massi. Dopo quasi 4.000 anni, l’enigma rimane, senza trovare una risposta plausibile oltre all’evidenza dei fatti: gli abitanti preistorici della Sardegna dovevano essere un popolo evoluto, in possesso di sofisticate tecnologie e conoscenze matematiche e astronomiche. Studi sulla geometria dei nuraghi ipotizzano persino che la loro struttura rispecchi l’ordine cosmico, creando una sorta di tramite con gli dei.

Al di là di ogni spiegazione scientifica o pseudo tale, rimane l’immenso fascino trasmesso da tali monumenti, e con esso da una civiltà che ha lasciato importanti tracce nella cultura regionale. Basti pensare che nella lingua e nella toponomastica sarde ci sono ancora più di mille parole di origine nuragica, che hanno la strana particolarità di avere una sola vocale ripetuta più volte: Orgosolo, Mogoro, Ittiri, Isili, Arzana, Ardana, Seneghe, Semestene e così via.

Fra i numerosi insediamenti visitabili, il più spettacolare è senz’altro quello di Su Nuraxi di Barumini, vicino Cagliari, datato a circa 3.500 anni fa, con una pianta quadrilobata con quattro torri angolari più una centrale, dal 1997 entrato nella World Heritage List dell’Unesco. Ma non c’è zona della Sardegna che non offra un sito archeologico con tracce più o meno imponenti di questo lontano passato, inserite oggi in un’iniziativa di promozione territoriale noto come Sardegna Nuragica.

Sardegna Nuragica

Primo punto, a quando risalgono i nuraghi? In un range di mille anni, si va dal 1700 al 700 circa a.C. Dove si possono vedere? Un po’ in tutta la Sardegna, ma in particolare nel nuorese, nell’oristanese, in provincia di Sassari e di Sud Sardegna. Secondo alcuni studi, intorno alla metà del II millennio a.C., i cosiddetti protonuraghi si evolvono in torri megalitiche di forma tronco conica e si diffondono in tutto il territorio, fino ad arrivare a una media di 1 nuraghe ogni 3 kmq. Intorno al 1.500 a.C., iniziano le aggregazioni di villaggi composti da costruzioni imponenti, realizzare sempre con tecnica megalitica e con ampie camere con soffitti a tholos. Da semplici, i nuraghi iniziano a diventare complessi, trilobati e quadrilobati, con sistemi di torri e murari di difesa. Fra quelli più importanti e meglio conservati si annoverano Su Nuraxi a Barumini, Nuraghe Arrubiu a Orroli e il Complesso di Seruci a Gonnesa (provincia di Sud Sardegna), Santu Antine a Torralba e Palmavera ad Alghero (SS), Nuraghe Losa ad Abbasanta (OR).

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